Molto futuro davanti?
La scorsa settimana sono venuti da Ravenna a Camera Centro Italiano per la Fotografia una giovane donna e un giovane uomo barbuto per presentare il loro lavoro in una conversazione con Francesco Zanot e Giuseppe De Mattia.
Vi saranno nuovi incontri (ingresso tre euri) con altri protagonisti nel mese in corso. Qui il calendario.
I due giovani, Valentina Venturi ed Emiliano Biondelli, agiscono sotto la copertura di due marchi: NASTYNASTY© e blisterZine. Le loro produzioni sono orientate al fotografico, si manifestano in prevalenza come oggetti editoriali, di bassa tiratura e semplice finitura. Parte del progetto che animano risiede anche nella distribuzione diretta e internazionale dei loro titoli, come anche della loro esposizione in mostra, avendone l'occasione. Una performance che fa della necessità economica una virtù concettuale.
Durante la serata scorrono le immagini sullo schermo e le parole dei convenuti. Nel primo libro presentato, "Public Collection", si tratta di frame da film in cui appaiono opere d'arte nell'inquadratura. Le immagini quindi non sono state riprese da Venturi e Biondelli, ma ritrovate e scelte in funzione del discorso che avevano in animo di fare. L'autore, già reso anonimo dal marchio collettivo, diventa così ancora più anonimo perché rinuncia alla produzione dei singoli visivi fotografici e preleva quelli già esistenti, per esempio, all'interno di film altrui.
Il secondo libro sposta ancora un poco l'asticella. Ordinary 90's playgame raccoglie fotografie di scarto delle quali non si conosce l'autore. Si tratta di immagini da campi da tennis, prese durante gli anni Novanta negli States. L'intenzione degli autori è quella di costruire un visivo complessivo che restituisca l'iconografia autoreferenziale di una precisa generazione borghese dell'epoca, con i suoi riti e passatempi. Il tennis in questo senso agisce da simbolo di agiatezza e di socialità esibita.
Qui inizia a risaltare anche il livello politico e ideologico dei progetti, con una visione non interna ai fenomeni ma esterna e, direi, vagamente antagonista.
Passano poi le immagini di un lavoro in cui il visivo è ripreso da vecchie fotografie dalle quali per tranciature a tondini si ricava un volto da Monna Lisa. Qui non mi soffermo perché siamo nel concettualismo anni Settanta, di cui già molto si è scritto nel tempo.
Infine ecco il primo e unico libro presentato in cui le fotografie sono riprese dalla coppia, con un inatteso passo avanti, o indietro a seconda di come la si vede, verso l'autorialità più tradizionale. Si tratta di Turbo Vanish, una ricognizione del mondo bizzarro di coloro che modificano le automobili per diletto rendendole stravaganti sculture mobili. Anche in questo caso l'approccio è esterno e, nonostante si adottino visivi il più possibile neutrali, si coglie una certa distanza emotiva, e direi ideologica, tra fotografi e soggetti. In questo caso, mi son sentito di domandare perché mai avessero preso loro le fotografie invece di usare, come nei lavori, precedenti, quelle già in circolazione, per esempio nelle fanzine degli appassionati del genere. La risposta è stata che erano davvero inadoperabili per com'erano concepite. Troppo autocelebrative in sostanza.
Agganciandomi al discorso che facevo nell'articolo "L'autore è chi mostra" direi che qui ci troviamo di fronte ad un interessante caso di studio. Se non cambia qualcosa, la direzione del fotografico contemporaneo pare ben tracciata e percorsa proprio da autorialità come queste che fanno del riuso, persino ecosostenibile direi, delle infinite fotografie già fatte un terreno d'azione e di nuova produzione.
Esiti estremi di un certo "duchampismo novecentesco" applicato alle fotografie ovvero linea evolutiva con molto futuro davanti?
Vi saranno nuovi incontri (ingresso tre euri) con altri protagonisti nel mese in corso. Qui il calendario.
I due giovani, Valentina Venturi ed Emiliano Biondelli, agiscono sotto la copertura di due marchi: NASTYNASTY© e blisterZine. Le loro produzioni sono orientate al fotografico, si manifestano in prevalenza come oggetti editoriali, di bassa tiratura e semplice finitura. Parte del progetto che animano risiede anche nella distribuzione diretta e internazionale dei loro titoli, come anche della loro esposizione in mostra, avendone l'occasione. Una performance che fa della necessità economica una virtù concettuale.
Durante la serata scorrono le immagini sullo schermo e le parole dei convenuti. Nel primo libro presentato, "Public Collection", si tratta di frame da film in cui appaiono opere d'arte nell'inquadratura. Le immagini quindi non sono state riprese da Venturi e Biondelli, ma ritrovate e scelte in funzione del discorso che avevano in animo di fare. L'autore, già reso anonimo dal marchio collettivo, diventa così ancora più anonimo perché rinuncia alla produzione dei singoli visivi fotografici e preleva quelli già esistenti, per esempio, all'interno di film altrui.
Il secondo libro sposta ancora un poco l'asticella. Ordinary 90's playgame raccoglie fotografie di scarto delle quali non si conosce l'autore. Si tratta di immagini da campi da tennis, prese durante gli anni Novanta negli States. L'intenzione degli autori è quella di costruire un visivo complessivo che restituisca l'iconografia autoreferenziale di una precisa generazione borghese dell'epoca, con i suoi riti e passatempi. Il tennis in questo senso agisce da simbolo di agiatezza e di socialità esibita.
Qui inizia a risaltare anche il livello politico e ideologico dei progetti, con una visione non interna ai fenomeni ma esterna e, direi, vagamente antagonista.
Passano poi le immagini di un lavoro in cui il visivo è ripreso da vecchie fotografie dalle quali per tranciature a tondini si ricava un volto da Monna Lisa. Qui non mi soffermo perché siamo nel concettualismo anni Settanta, di cui già molto si è scritto nel tempo.
Infine ecco il primo e unico libro presentato in cui le fotografie sono riprese dalla coppia, con un inatteso passo avanti, o indietro a seconda di come la si vede, verso l'autorialità più tradizionale. Si tratta di Turbo Vanish, una ricognizione del mondo bizzarro di coloro che modificano le automobili per diletto rendendole stravaganti sculture mobili. Anche in questo caso l'approccio è esterno e, nonostante si adottino visivi il più possibile neutrali, si coglie una certa distanza emotiva, e direi ideologica, tra fotografi e soggetti. In questo caso, mi son sentito di domandare perché mai avessero preso loro le fotografie invece di usare, come nei lavori, precedenti, quelle già in circolazione, per esempio nelle fanzine degli appassionati del genere. La risposta è stata che erano davvero inadoperabili per com'erano concepite. Troppo autocelebrative in sostanza.
Agganciandomi al discorso che facevo nell'articolo "L'autore è chi mostra" direi che qui ci troviamo di fronte ad un interessante caso di studio. Se non cambia qualcosa, la direzione del fotografico contemporaneo pare ben tracciata e percorsa proprio da autorialità come queste che fanno del riuso, persino ecosostenibile direi, delle infinite fotografie già fatte un terreno d'azione e di nuova produzione.
Esiti estremi di un certo "duchampismo novecentesco" applicato alle fotografie ovvero linea evolutiva con molto futuro davanti?