Incomprensione critica dell'atto fotografico.
La pratica del ready-made, nata con la quarta avanguardia in un artista solo (Marcel Duchamp), consiste nel decontestualizzare oggetti comuni per rivelarne inattese occasioni di esperienza estetica, e quindi di senso. Non può però funzionare davvero se prima non si identifica con accuratezza il contesto da cui quegli oggetti provengono.
La macchina fotografica è un potente apparato di osservazione che contiene già nelle sue logiche di funzionamento una sorta di identificazione automatica dei contesti nel momento stesso in cui, agendo, ne decontestualizza ciò che di visibile trasferisce in forma di traccia ottica. Un robot duchampiano alla portata di tutti insomma.
Per questo motivo, l'idea che prima di tutto sia opportuno rintracciare l'intenzione del fotografante è essenziale per avviare una piena comprensione del suo atto. Troppo facile sarebbe difatti sommergere l'immagine fotografica di ipotesi arbitrarie, sovente di derivazione letteraria, che finiscono per oscurare, quando non addirittura stravolgere, il possibile senso originario, quasi come se le fotografie fossero anonime parti di mondo che nascono spontaneamente dalla natura e di cui si può disporre a proprio piacimento. Ovvero si può, certo, ma si finisce in una sorta di incomprensione critica dell'atto fotografico.
La macchina fotografica è un potente apparato di osservazione che contiene già nelle sue logiche di funzionamento una sorta di identificazione automatica dei contesti nel momento stesso in cui, agendo, ne decontestualizza ciò che di visibile trasferisce in forma di traccia ottica. Un robot duchampiano alla portata di tutti insomma.
Per questo motivo, l'idea che prima di tutto sia opportuno rintracciare l'intenzione del fotografante è essenziale per avviare una piena comprensione del suo atto. Troppo facile sarebbe difatti sommergere l'immagine fotografica di ipotesi arbitrarie, sovente di derivazione letteraria, che finiscono per oscurare, quando non addirittura stravolgere, il possibile senso originario, quasi come se le fotografie fossero anonime parti di mondo che nascono spontaneamente dalla natura e di cui si può disporre a proprio piacimento. Ovvero si può, certo, ma si finisce in una sorta di incomprensione critica dell'atto fotografico.