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Visualizzazione dei post da novembre, 2016

La questione del soggetto.

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Di recente si è suicidato all'età di 83 anni il fotografo inglese David Hamilton . La notizia mi ha colto di sorpresa perché erano talmente tanti anni che non ne sentivo più parlare che poteva benissimo essere anche già morto. Di lui ricordavo quelle fotografie degli anni Settanta - Ottanta di giovani adolescenti nude e seminude avvolte in vaporosi effetti "pittorici", che si diceva ottenesse alitando sul filtro o usando gli allora tanto in voga Filtri Cokin . Famosa era anche la fotocamera che usava: la reflex Minolta. Per un certo periodo fu molto apprezzato non solo dai fotoamatori, che tentavano pure come potevano di emularlo. Minolta e Cokin ne ebbero discreti vantaggi economici. Le riviste, Photo in testa, lo pubblicavano volentieri e persino nella popolarissima collana Fratelli Fabbri Editori delle monografie   I grandi fotografi , comparve un fascicolo a lui dedicato nel 1982. L'iconografia di Hamilton era dichiaratamente orientata a soddisfare un gusto del

Immagini, non dipinti.

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Mi pare che un certo equivoco qui da noi sia molto diffuso. Mi riferisco al movimento storico del Pictorialism , che a cavallo tra Ottocento e Novecento si sviluppò in Europa e negli Stati Uniti. Tutto probabilmente nasce dal nome stesso che in Italia suggerisce una relazione privilegiata con la pittura . Diversamente da quanto è storicamente avvenuto e continua ad avvenire. Perché se si intende il termine pictorialism come riferimento alle pictures , quindi alle immagini in senso esteso, e non specificatamente alla pittura ( painting ), ancora oggi esistono ed operano fotografi che intendono realizzare delle immagini con le loro fotocamere. Qui il discorso potrebbe avvitarsi in uno sterile nominalismo, ma quello che mi interessa evidenziare è che una fotografia non può mai essere un dipinto, mentre, per la procedura con con cui la si ottiene, non può non essere un'immagine. Automatica invece che manuale, ma sempre un'immagine.

REST 26/11/2016 Show Edition

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REST è una rivista stampata su carta di fotografie senza parole . I fotografi selezionati per REST realizzano serialità con immagini interessanti. REST cambia la priorità. La percezione visiva è la prima forma di conoscenza: istintiva, pre-verbale. Se avete bisogno delle parole chiedete direttamente ai fotografi. REST pensa: se un'immagine non funziona, centinaia, migliaia o milioni di parole non potranno salvarla. Questa Show Edition  è realizzata con tutte le fotografie esposte alla  QR Photogallery  di Bologna, dal 26 novembre al 20 dicembre 2016. REST contains photographs without words .  The photographers selected for REST carry out good projects with interesting pictures. REST wants to change the priority. The visual perception is the first form of knowledge: instinctive, pre-verbal. If you need words, ask the photographers directly. REST thinks: if an image doesn't work, a hundred, a thousand, or a million words won't be enough

Il mondo così com'è.

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©2004 Paul Graham. Nel libro Europe: America  c'è un'intervista di Kevin Moore a Paul Graham nella quale il discorso verte ad un certo punto sul problema della definizione di fotografia documentaria per il tipo di fotografia praticato dall'autore. Inizialmente Graham tenta di schivare la questione, che gli viene di certo posta di continuo, ma dopo un'ulteriore sollecitazione di Moore si rassegna e risponde così: (...) con il termine fotografia documentaria ci si riferisce ad un genere particolare di lavori prodotti per le riviste illustrate durante il periodo 1930-60. Furono grandi lavori del loro tempo, ma è davvero meglio se usiamo il termine riferendoci a quello specifico periodo. È sicuramente sbagliato usare il termine fotografia documentaria riferendosi al lavoro di Diane Arbus, Garry Winogrand, William Eggleston, Stephen Shore o Robert Adams. Non si può semplicemente etichettare come  fotografia documentaria i lavori di fotografi che escono a fotogr

La dittatura degli ignoranti.

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Viviamo un tempo nuovo, già da un po' a dire il vero, nel quale il contrario della conoscenza, l'ignoranza, è divenuto un valore positivo e per questo praticato con soddisfazione, facendosene pure vanto. La ribellione iniziò dalle parti del '68, quand'ero ancora un bambino. Lentamente, ma implacabilmente, alcune figure sociali di riferimento, come il maestro, il professore, l'intellettuale, l'esperto, insomma tutte quelle persone che avevano dedicato molti anni della loro vita ad acquisire conoscenze specifiche vennero via via perdendo di autorevolezza. Prima bastava un loro cenno per zittire chi osava interloquire inadeguatamente su discorsi di loro competenza, poi pian piano si iniziò a "contestare" quello che dicevano, senza però sovente portare argomenti contrari di un qualche razionale valore critico. Un modello di cultura autoritaria e gerarchica, basata sull'autoreferenzialità reciproca dei suoi componenti dominanti, si sgretolava so

E son soddisfazioni.

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Ci sono a volte cose che vanno per il verso giusto in ogni loro parte. Capita. Difficile quindi arrivare ad un tale punto di cieca autostima da attribuirsene il merito. Per fortuna, contro ogni apparenza per chi mi conosce troppo poco, soffro della patologia inversa e quindi posso solo registrare con soddisfazione una congiunzione astrale che mi ha regalato uno dei più bei laboratori che abbia mai tenuto. Milano porta bene, può darsi. Successe già in passato in altre belle occasioni. Milano mi porta di sicuro persone che vanno oltre l'immaginabile per darmi sostegno reale, concreto, indispensabile. Mi porta anche ascolto e disponibilità a mettersi in gioco da parte di chi si arrischia a partecipare al percorso didattico che propongo. Un rischio lo è senz'altro perché non regalo complimenti a nessuno. Non aiuto a coltivare vanità autoreferenziali simulando che la pirite sia oro. Il mio modo di essere utile è quello di non nascondere ciò che sinceramente penso di quel

REST-LAB parte da Milano.

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Bene, sabato e domenica prossimi terrò a Milano il primo REST-LAB sul tema Iconografie dai territori della contemporaneità . Il laboratorio verrà poi riproposto il 26 e 27 novembre a Bologna, in occasione della prima mostra collettiva di REST . Un lavoro iniziato il 9 agosto dello scorso anno, con la prima uscita di REST, sta proseguendo sempre più intensamente nella direzione del recupero di autonomia dell'icona fotografica rispetto ai contesti verbali e mediali in cui è costantemente immersa. La prima fase del laboratorio sarà teorica e servirà a ricostruire con i partecipanti l'impatto innovativo dell' immagine automatica dal suo apparire ai nostri giorni. Figlia dell'immagine ottica e della teoria prospettica, nel breve lasso di tempo storico che ci separa dal 1839, la fotografia ha reso possibile il paradosso di una moltiplicazione pluridimensionale del mondo nella forma di innumerevoli immagini, in costante aumento esponenziale. Qualcosa che sarebbe stato

Sì, no, non so.

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Periodo di dubbi notevoli. D'istinto, quando ho forti dubbi sto fermo in attesa di scioglierli verso una qualche direzione plausibile. Muoversi per muoversi non mi ha mai affascinato. In genere, il dubbio paralizzante mi si manifesta quando la ragione entra in tilt , trovando ottimi motivi equivalenti per fare sia una cosa sia il suo opposto. L'assenza, o almeno la sua imitazione che sarebbe l'immobilità, non sono senza conseguenze. Passano magari diversi treni, mentre si sta lì davanti ai binari a guardarli senza prenderne nessuno. C'è da dire che proprio questa attitudine mi consente di estraniarmi, di relativizzare la mia esistenza e quindi di poterla osservare mentre scorre quasi come se non mi appartenesse per davvero. Il sentimento di esistere nonostante me , in qualche modo mi rasserena invece di inquietarmi. Il vuoto che ne consegue ha qualcosa di pacificante. Mi rigenera persino. Lascio quindi che faccia il suo corso, che dal vuoto emerga inevitabilm

Maria Adelaide e gli Altri.

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C'era una volta a Torino l' ospedale Maria Adelaide . Dal 1895 agli inizi del 2016 vi hanno svolto il loro compito generazioni di medici e paramedici tra la soddisfazione generale. Poi le fiabe un brutto giorno finiscono ed ora per poter entrare nell'edificio, e constatare che è ancora intatto come se stesse aspettando di risvegliarsi da un brutto sogno, ci vogliono gli altri , quelli dell'arte contemporanea. Il disagio che provo, come torinese, nel percorrere spazi tutt'altro che in degrado e comunque abbandonati al loro destino di luogo dismesso, condiziona l'approccio a questa sesta edizione di The Others Art Fair . Un'edizione dimezzata, non solo nel numero degli espositori, dai 63 dello scorso anno ai 29 attuali (mai così pochi), ma anche nel rapporto con il Maria Adelaide. L'ex ospedale prevale sempre sulle opere, tranne che nell'installazione di Luca Gilli che assume a suo soggetto proprio l'ospedale stesso.

Artissima è ancora qui.

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E di questi tempi torinesi fatti di fughe ambrosiane e dismissioni culturali non è davvero poca cosa. Se possibile anzi, la trovo ancora più viva e interessante che mai. Negli stand delle quasi duecento gallerie presenti, delle quali i due terzi sono straniere, si trova davvero di tutto e il contrario di tutto. Così a caldo, mi pare che la fotografia sia sì presente, ma più che altro con valori già riconosciuti o come base tecnica per operazioni performative e installazioni. Il che forse non è un male. Penso difatti che per l'atto fotografico la relazione con l'arte contemporanea e moderna sia senz'altro qualcosa di molto fertile, ma non necessariamente il modo migliore di dare corpo alle sue possibilità concettuali ed espressive. Nel panorama delle proposte non riesco a cogliere una tendenza prevalente, insufficienza mia probabilmente. L'impressione è che si siano esaurite alcune spinte del Novecento e che si stia girando in tondo, una sorta di stand

L'oasi Flashback.

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Anche quest'anno sono tornato a visitare  Flashback , nella suggestiva sede del Palasport Olimpico (aka PalaAlpitour o PalaIsozaki) . L'impressione positiva che avevo ricevuto dalla scorsa edizione si è più che confermata. In un'atmosfera elegante e ariosa, si possono avvicinare dipinti, sculture, ma anche altri oggetti d'arte storica e moderna, selezionati dagli espositori per offrire ad un esigente pubblico di collezionisti pezzi di notevole raffinatezza. Il tempo trascorre piacevolmente tra uno stand e l'altro e passa alla fine troppo in fretta rispetto al desiderio di poter continuare a scoprire nuova bellezza. Tornerò quindi sicuramente anche il prossimo anno. Un appuntamento divenuto per me davvero irrinunciabile. FLASHBACK Palasport Olimpico ( Alpitour / Isozaki ), Torino. Ingressi da corso Sebastopoli 123 e via Filadelfia 82. Apertura fino a domenica 6 novembre 2016. Ore 11 – 20. Ingresso a pagamento .

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