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Visualizzazione dei post da giugno, 2016

Più avanti nel tempo.

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La prima serata del nuovo ciclo di incontri di Phom , stavolta dedicato al rapporto tra fotografia e parola , ha visto come protagonisti Giorgio Falco e Sabrina Ragucci, i co-autori dell'opera "Condominio oltremare", della quale ebbi già modo di scrivere su questo blog. Trovate il post QUI . Certamente ha ragione Marco Benna, il boss di Phom, quando dice che scopo degli incontri è quello di sentire dalla viva voce dei protagonisti quale sia la loro esperienza delle cose e il senso che pensano possa e debba avere ciò che fanno. Nel caso di Falco e Ragucci è stato proprio così. Avevo già espresso delle perplessità sulla coesione, a mio avviso mancata, tra le parole del romanzo breve di Giorgio Falco e le 59 fotografie di Sabrina Ragucci che vi si innestano in vario modo all'interno, con l'intenzione di creare un controcanto, un "innesco" come dicono loro, qualcosa in grado di espandere l'effetto delle parole e di introdurre ulteriori sfumature di

Vale più di mille immagini.

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Sto riemergendo da un fine settimana a Gonzaga, nell'Oltrepò mantovano, davvero appagante e intenso. Le cronache storiche dicono che, in un giorno imprecisato del 1488, il signor Corradi, meglio conosciuto come Francesco II Gonzaga marchese di Mantova , cadesse da cavallo poco fuori del paese in direzione di Reggiolo. Non diventò per questo un santo, ma sopravvisse e un paio d'anni dopo iniziò a far costruire nel luogo miracoloso una chiesetta dedicata alla vergine Maria, con annesso convento e semplice ma delizioso chiostro. Ebbe quindi l'intuizione straordinaria, bisogna dargliene merito, che negli anni 2000 quella sarebbe stata la sede ideale per un Festival di fotografia organizzato dal Collettivo diecixdieci , ossia sei giovani gonzaghesi e limitrofi, di quelli che avercene di più in tutta Italia. Mi pare giusto ricordarne i nomi, da sinistra a destra come si vedono nella fotografia d'apertura di questo post: Giulio Gibertoni , Pietro Millenotti , Massimo Cara

Può trovare qualche soddisfazione.

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Tanti sono i motivi per cui si può decidere di mettere mano ad una fotocamera per prendere una fotografia di qualcosa. Nella maggior parte dei casi si fa per uno scopo utile. In altri casi potrebbe essere solo un'occasione di divertimento fine a se stessa. Vi sono anche casi nei quali prendere una fotografia è la risposta ad un bisogno, un'urgenza insopprimibile. In genere, questi ultimi sono i casi nei quali la fotografia può diventare un'occasione di riflessione, di scoperta e di conoscenza. Ciò può avvenire perché l'immagine che si ottiene da una fotocamera ha inevitabilmente qualche relazione di verosimiglianza con il nostro modo di vedere, quello del sistema occhi/cervello . Una verosimiglianza però fedele alle leggi fisiche cui è soggetto il congegno fotocamera. Quindi mai perfettamente sovrapponibile a quanto noi vediamo. C'è sempre uno scarto, una differenza. In quello scarto, in quella differenza, l'urgenza può trovare modo di placarsi, almeno in

L'italiano non è l'italiano.

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In questi ultimi giorni la mia fiducia nella condivisione di un pensiero razionale è entrata in crisi. Osservo accadimenti e comportamenti dettati da un relativismo di comodo, che non ritiene più dirimenti i fatti , escludendoli dal ragionamento o peggio considerandoli come fossero semplici opinioni, di parì dignità quindi con ogni altra possibile. Cerco per questo consolazione in uno dei maestri del pensiero, del ragionare.   Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. «Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!». «Tanti: e mi pesano» convenne il professore. «Ma che ne dice? Lei non è mutato per nulla, nell’aspetto». «Lei sì» disse il professore con la solita franchezza. «Questo maledetto lavoro… Ma perché mi dà del lei?». «Come allora» disse il professore. «Ma ormai…». «No». «Ma si ricorda di me?». «Certo che mi ricordo». «Posso permettermi di farle una domanda?… Poi gliene farò altre, di altra natura… Nei componimenti di italiano le

Bianco, ingenuo, valdostano.

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È aperta da PHOS a Torino , una doppia personale di fotografia intitolata "Bianco - Ingenuo". Gli autori sono Sophie-Anne Herin e Mattia Paladini . Ad unirli è il luogo dove hanno preso le loro fotografie, che è anche il loro luogo di nascita: la Valle d'Aosta . Il potere dell'immaginario collettivo sedimentato in chi non vi risiede, si mette subito in moto al solo leggere quel nome: alte montagne innevate, o verdissime d'estate, alpeggi, baite, cieli azzurri e pittorescamente attraversati da nuvole fioccose, succulenterie gastronomiche servite in ambienti impreziositi da legno e pietra lavorati da abili artigiani, ecc. ecc. Luoghi per vacanze meravigliose insomma. Invece no. Esistono altre dimensioni esperienziali in quella valle, e nelle zone alpine in genere. In questo senso, la doppia personale è quanto mai felice nell'accostarne due molto distanti tra di loro che in sinergia disegnano iconografie inattese in grado di arricchire l'immaginario con

Valore iconografico.

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Il trasferimento in forma di fotografia dell'esperienza di osservazione in un luogo comporta lo spostamento definitivo di quell'esperienza nell'universo parallelo delle immagini. Questo significa che la relazione con ciò che "è stato" rimarrà recuperabile e osservabile solo attraverso l'immagine che ne deriva come traccia durevole. L'idea che sia possibile proseguire l'esperienza di osservazione, o anche amplificarla e persino migliorarla per tramite di un'immagine che la trasferisca in un tempo e in uno spazio diversi, quasi sempre lontani e successivi al termine dell'esperienza, si sostiene su due considerazioni che vanno a loro volta osservate con attenzione. La prima è che ci sia una contiguità verosimile dell'immagine fotografica con quanto è stato osservato direttamente. Questo si ottiene con la conoscenza e l'applicazione della tecnologia fotografica orientandola in modo che soddisfi al meglio lo scopo. La seconda, più compless

Fino a smarrirsi.

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(...) non posso fare a meno di vedere la città come un grande corpo che respira, un corpo in crescita, in trasformazione, e mi interessa coglierne i segni, osservarne la forma, come il medico che indaga le modificazioni del corpo umano per leggerne la natura. Cerco incessantemente nuovi punti di vista, come se la città fosse un labirinto e lo sguardo vi cercasse un punto preciso di penetrazione. Mi interessa leggere la sua dimensione estetica come sublimazione della sua morfologia. È per questo forse che il mio interesse e la mia attenzione non sono rivolti alla bellezza in sé, per esempio ai grandi monumenti  o all'architettura come espressione di cultura e storia, ma preferibilmente alla "città media" e in particolare alle periferie e alle zone medie, quelle nelle quali, dal punto di vista dell'architettura, la qualità dell'ambiente urbano si diluisce fino a smarrirsi. Gabriele Basilico Da: Architetture, città, visioni Riflessioni sulla fotografia a cura di

Funzionare come immagini.

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Nel momento in cui un'osservazione diretta dei fenomeni viene trasferita in fotografia avviene un cambiamento definitivo. Dell'esperienza in corso rimane solo una traccia ottica bidimensionale determinata dall'azione tecnica di un congegno che segue leggi fisiche di funzionamento. Questa traccia riporta l'azione della luce su una superficie ad essa sensibile. Azione simultanea che avviene durante un tempo dato di passaggio della luce attraverso l'apparato ottico, foss'anche un semplice foro. Ciò che si ottiene, una fotografia, viene per convenzione chiamato anche "immagine". E qui nascono alcuni problemi causati dall'insufficienza del linguaggio scritto/verbale nel descrivere precisamente le cose, specie se complesse come quelle che si riuniscono nella parola "immagine". Un'immagine è molte cose insieme. Partendo dalle più difficili da afferrare, si può dire che le immagini sono quelle figure effimere di cui facciamo esperienza

Prendere lucciole per lanterne.

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C'è un equivoco, forse, da chiarire. L'osservazione è un'attività perfettamente compiuta in se stessa per la quale non serve nessuno strumento particolare. Il corpo umano ha già tutto quello di cui necessita, nel momento in cui può muoversi nelle direzioni volute e il suo cervello è correttamente connesso agli occhi. Ogni apparato, strumento o congegno in più si rende necessario solo per dare maggiore efficienza o ulteriori finalità all'osservazione. In questo senso, inserire una fotocamera nell'attività di osservazione ha la finalità di trattenere in forma di immagine fissa degli aspetti visibili ritenuti così interessanti da essere considerati meritevoli di un'osservazione prolungata in altro tempo e luogo. Il passaggio dall'osservazione diretta dei fenomeni a quella mediata dall'immagine fotografica non è tuttavia senza conseguenze. Gli elementi visibili subiscono delle importanti trasformazioni che se non sono ben comprese possono portare anc

Levigata iconografia.

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Moritz Lotze. Piazzaforte di Peschiera: ponte sul Mincio, 1866. Albumina da collodio. Collezione Giuseppe Milani. La fotografia venne quindi subito connotata dall'intervento appassionato di nobili, ecclesiastici, ottici e scienziati, oltre che dall'esteso drappello degli itineranti, che avevano diffuso un po' dappertutto il "virus" della fotografia. Nel frattempo, però, s'era formata spontaneamente una "scuola" specifica, negli oltre dieci anni intercorsi tra l'anno dell'invenzione e il suo fondamentale perfezionamento con il collodio. Il mestiere di fotografo venne quindi appreso sempre più frequentemente a bottega, (...) il che significava disponibilità assoluta nei confronti dei desideri della clientela, specie nella ritrattistica, che doveva essere essenzialmente lusinghiera. (...) Anche la veduta e la fotografia d'architettura, oltre che il ritratto, risentirono subito dell'estrazione artigianale dei fotografi. Disponibili p

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