Die Reise von Domingo.
Ieri sera secondo appuntamento degli incontri da Camera Corraini. L'ospite questa volta era il fotografo barese Domingo Milella (1981). L'occasione era la presentazione del suo primo libro edito da Steidl Verlag.
Purtroppo, forse anche a causa di una mezz'ora abbondante di ritardo sull'orario di inizio previsto, ad ascoltare Milella siamo stati in quattro gatti. Devo dire che ancora una volta gli assenti hanno avuto torto. Almeno quelli che si interessano di fotografia contemporanea italiana e internazionale, in specie legata all'editoria d'arte.
Il personaggio Domingo Milella, già a cominciare dal nome di battesimo, è sui generis. Un caso raro, forse unico, di giovanissimo italiano del sud che, invece di formarsi in Italia, appena arrivato alla maggiore età se ne va a studiare a New York, con niente di meno che Stephen Shore. Non pago, rivolge presto la sua attenzione al lavoro dei tedeschi, i nipotini dei Becher, e così si fa un'esperienza anche con Thomas Struth. Non basta ancora, pure l'assistente di Massimo Vitali finisce per fare. Ed ora, dopo anni di anticamera disperante raccontati con trasporto da Milella, arriva il suo primo titolo con l'editore di riferimento dei Grandi.
Difficile riuscire a fare di più per formarsi ed affermarsi. Un corsus honorum che mette davvero in evidenza l'inflessibile volontà di Milella. Aspetto per nulla secondario nel suo percorso autoriale.
Il libro ha una copertina telata rosa con al centro il nome del fotografo in caratteri maiuscoli, qualcosa tra il glamour e la lapide romana, e contiene una quarantina di fotografie riprese con una camera 20x25cm (8x10") nel corso di oltre un decennio in varie parti del mondo. Si tratta nella maggior parte dei casi di vedute panoramiche a colori, sia urbane sia di siti archeologici. Nel visivo si riscontra facilmente l'influenza dei maestri con cui ha studiato Milella. Il filo rosso che tiene insieme la serie non è invece facile da rintracciare. L'autore spiega che il suo interesse va verso le origini dell'umanità nel suo rapporto con la scrittura, l'immagine, la morte e l'abitare il pianeta. Per questo motivo il suo viaggio è verso oriente, verso la Mesopotamia, seguendo le tappe della civiltà che arrivano fino a noi occidentali.
L'osservazione che ho avuto occasione di fargli direttamente è che se togliamo la "spiega" le immagini restano mute, silenziose, inespresse. Dato di fatto che non trova in disaccordo Milella. In questo senso, sembra che la fatica da lui fatta per arrivare dov'è debba venire affrontata anche da chi volesse riuscire a seguirne la poetica. Cosa questa non necessariamente negativa. Saranno però successive prove a definirne meglio il senso e l'efficacia.
Purtroppo, forse anche a causa di una mezz'ora abbondante di ritardo sull'orario di inizio previsto, ad ascoltare Milella siamo stati in quattro gatti. Devo dire che ancora una volta gli assenti hanno avuto torto. Almeno quelli che si interessano di fotografia contemporanea italiana e internazionale, in specie legata all'editoria d'arte.
Il personaggio Domingo Milella, già a cominciare dal nome di battesimo, è sui generis. Un caso raro, forse unico, di giovanissimo italiano del sud che, invece di formarsi in Italia, appena arrivato alla maggiore età se ne va a studiare a New York, con niente di meno che Stephen Shore. Non pago, rivolge presto la sua attenzione al lavoro dei tedeschi, i nipotini dei Becher, e così si fa un'esperienza anche con Thomas Struth. Non basta ancora, pure l'assistente di Massimo Vitali finisce per fare. Ed ora, dopo anni di anticamera disperante raccontati con trasporto da Milella, arriva il suo primo titolo con l'editore di riferimento dei Grandi.
Difficile riuscire a fare di più per formarsi ed affermarsi. Un corsus honorum che mette davvero in evidenza l'inflessibile volontà di Milella. Aspetto per nulla secondario nel suo percorso autoriale.
Il libro ha una copertina telata rosa con al centro il nome del fotografo in caratteri maiuscoli, qualcosa tra il glamour e la lapide romana, e contiene una quarantina di fotografie riprese con una camera 20x25cm (8x10") nel corso di oltre un decennio in varie parti del mondo. Si tratta nella maggior parte dei casi di vedute panoramiche a colori, sia urbane sia di siti archeologici. Nel visivo si riscontra facilmente l'influenza dei maestri con cui ha studiato Milella. Il filo rosso che tiene insieme la serie non è invece facile da rintracciare. L'autore spiega che il suo interesse va verso le origini dell'umanità nel suo rapporto con la scrittura, l'immagine, la morte e l'abitare il pianeta. Per questo motivo il suo viaggio è verso oriente, verso la Mesopotamia, seguendo le tappe della civiltà che arrivano fino a noi occidentali.
L'osservazione che ho avuto occasione di fargli direttamente è che se togliamo la "spiega" le immagini restano mute, silenziose, inespresse. Dato di fatto che non trova in disaccordo Milella. In questo senso, sembra che la fatica da lui fatta per arrivare dov'è debba venire affrontata anche da chi volesse riuscire a seguirne la poetica. Cosa questa non necessariamente negativa. Saranno però successive prove a definirne meglio il senso e l'efficacia.