Cesare in Camera.

E anche Cesare Lombroso ha avuto il suo momento da Camera Centro Italiano per la Fotografia. Ne lamentavo l'assenza nella mostra Sulla scena del crimine e ieri sera una conferenza lo ha almeno evocato.

Prenotando la serata (direi che un paio di centinaia di persone stavolta c'erano) e pagando tre euro, però con calice di vino offerto, ho  potuto ascoltare Nicoletta Leonardi, studiosa di fotografia e professoressa di Storia dell'Arte all'Accademia Albertina di Torino,  e Luigi Gariglio, fotografo professionista e sociologo, portare il loro contributo sul tema Lombroso.

La professoressa Leonardi ha dato conto di una sua ricerca nell'archivio fotografico del Museo Cesare Lombroso, quel museo che alcuni oppositori vorrebbero cancellare, portando all'attenzione il valore storico e scientifico del fondo. Sono oltre seimila fotografie di varia provenienza e materialità, quasi tutte con soggetti legati alla criminologia e alla malattia mentale. Tra le altre cose, ho trovato molto interessante l'accento posto sul fatto che i malati mentali non posassero per i loro ritratti, ma rimanessero neutrali di fronte alla fotocamera, diversamente dai "sani" che volevano, e ancora oggi nell'epoca dei selfie vogliono, manipolare con i loro atteggiamenti autocelebrativi l'immagine fotografica.

Gariglio portava la testimonianza personale del suo incontro con il Museo Lombroso. Inizialmente come giovane assistente della fotografa professionista Patrizia Mussa, per conto della quale fotografò in serie gli innumerevoli oggetti del museo. Per poi soffermarsi sullo sviluppo dell'interesse sociologico nell'ambito della detenzione e dell'emarginazione sociale dove lo stesso atto fotografico è atto di potere, borghese aggiungerei, e quindi in qualche modo aggressivo e condizionante verso chi viene ripreso. Interessante la notazione che non siano mai le persone in difficoltà sociale ad andare a fotografare coloro che sono inseriti nella società, ma capita sempre il contrario. Essendo ancora, per mia fortuna, appartenente a quest'ultima categoria, potrei dire che ce le cantiamo e ce le suoniamo da soli nei confronti della diversità e delle varie fragilità escludenti.

Ora attendo i prossimi incontri e intanto assisto con piacere alla nascita di qualche timido bocciolo di quelle famose rose che auspicavo fiorissero nel progetto di Camera.

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