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La giostra folle.

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Un piccolo comune vicino a Torino verrà conosciuto e ricordato, forse per sempre, a causa della morte atroce di cinque operai che lavoravano sui binari ferroviari. Brandizzo, l'ennesimo nome di un Comune che si aggiunge alla triste lista nera che costella la vita del nostro Paese. Sono troppe le tragedie che capitano in Italia e non se ne vede la fine. Ora la magistratura indagherà, la giustizia farà il suo corso, anch'esso troppo spesso tragico, e a tratti persino amaramente ridicolo nelle sue lentezze e cavillosità legali. Un paio di responsabili forse pagheranno in qualche modo, dico forse, e tutto riprenderà il suo corso come prima, interrotto solo dalla prossima tragedia, che ripeterà il copione. Stancamente la giostra italica gira senza fine perché non c'è modo di fermarla. Il suo motore folle non si ferma con un pulsante. Questo pulsante non esiste perché nessuno ha mai pensato di metterne uno. Così tutti si arrangiano come possono. Si sale e si scende in corsa. A vo

Le domeniche sono finite.

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Certo, non può essere sempre domenica, ma nemmeno sempre lunedì. Quest'estate torrida e violenta sembra spazzare via ciò che restava di un modello sociale che dal Secondo Dopoguerra, nel bene e nel male, aveva consentito a milioni di italiani e alle loro famiglie di condurre delle vite dignitose con i frutti del proprio lavoro. L'idea di fondo fu quella di dare un posticino al sole a tutti o quasi. Questo non per qualche ideale filantropico, ma proprio per il calcolo politico che vedeva in una società dove ciascuno potesse campare con un minimo di benessere il modello fondamentale per una democrazia compiuta, anche in contrapposizione al modello comunista, allora incombente. Poi il diluvio. Il comunismo si arrende senza combattere. Il capitalismo non fa prigionieri, prende tutto e rilancia. Dall'economia basata sul lavoro e sulla produzione dei beni di consumo di massa si passa alla pura e semplice speculazione finanziaria. Sempre più complessa, globale. L'individuo,

Barbie al cinema.

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Ci ho pensato un po' su prima di decidermi a scrivere qualcosa sul film della Barbie. L'ho visto ai primi del mese e sono uscito dalla sala piuttosto irritato.Sala affollata di persone come ultimamente mai mi era capitato di vedere. Tanti bambini, ma anche diversi  boomer come me. Un campione d'incassi senza dubbio. Come al solito, non ho voluto sapere nulla prima di andare al cinema. Mi aspettavo una commedia leggera, sul tipo di "Mamma mia", o comunque molto colore, rosa su tutti, un po' di musical, divertimento e una certa spensieratezza. Non sto a rivelare la trama o dettagli importanti per non togliere il piacere di scoprirli ai forse pochi che ancora non l'avessero visto. L'inizio comunque sembrava andare verso qualcosa vicino al citazionismo demenziale inglese, stile Monty Python per capirci. Ci stava. Poi però tutto si confonde piano piano. Emergono tematiche seriose buttate lì senza grazia alcuna. Leggo sulla rete da alcune fonti che questo di

Note a perdere.

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Ho provato a chiudere questo blog alcune volte in passato e almeno due ultimamente. Poi ci ripenso. Tuttavia rimango perplesso sulla necessità di tenerlo aperto, almeno com'era pensato fin qui. Vedo sul web troppa vanità allo sbaraglio a tutto vantaggio dei contenitori che la propagano e mi urta far parte di questo circo come ennesimo pagliaccio. Tutto sommato Google dal 2008 mi ospita in questo spazio senza obbligarmi al tormento di alcun banner pubblicitario, senza vietarmi contenuti di nessun tipo e nemmeno volendo soldi per mantenerlo aperto. Per questo, penso che rimanere qui sia alla fine la maniera più diretta e meno dannosa di dire la mia sulla rete. In questo senso, Camera Doppia non corrisponde più al mio vivere e ai miei interessi. La fotografia pian piano mi sta stancando sempre di più. Rimango curioso verso le fotografie, anche le strabordanti mie, ma con maggiore distacco. Altri interessi tornano a farsi sentire. Leggo di nuovo volentieri, romanzi e saggi, vado al ci

Tre mostre in due sedi.

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Ieri mattina ero a Torino, cosa che ultimamente mi capita sempre più di rado, passando altrove la maggior parte del tempo. Così sono andato alle Gallerie d'Italia e a Palazzo Chiablese, un po' con lo spirito del turista incuriosito dalle fotografie. Alle Gallerie d'Italia c'è fino al 16 luglio JR, con delle installazioni a base fotografica. Penso sia la mostra che ho visto più velocemente in vita mia. Una prima sala con delle teste di bambino giganti stampate su tessuto intelaiato e sagomato con alla base vestiario accumulato come fossero stracci. Nella seconda sala sagome fotografiche di bambini che giocano a pallone, con rumori e voci connessi. Nella sala immersiva, sempre suggestiva, spezzoni di video vari. Il tema generale mi è parso l'infanzia in specie africana nei luoghi d'origine. Fuffa, ma buona, equa e solidale. Non penso che tra decenni resterà il ricordo di un artista epocale. Nelle salette minori si è da poco aperta una personale di Mimmo Jodice. Un

Scimmie davvero anormali.

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E niente, da quando entrai l'estate scorsa in un supermercato, ora giustamente chiuso, di Porto Maurizio -ex libero comune ligure accorpato dal Duce un secolo fa alla sabauda Oneglia per creare l'ircocervo topografico chiamato Imperia - la mia visione delle cose è cambiata irrimediabilmente. Lì, vicino alla cassa, c'erano dei libri usati portati da qualcuno e lasciati a disposizione dei clienti che volessero prendersi la briga di portarseli via. Li spulciai e disgraziatamente ne scelsi uno dal titolo curioso: "Il terzo scimpanzè. Ascesa e caduta del primate homo sapiens" . L'autore è Jared Diamond, nome a me sconosciuto, ma l'editore invece no: Bollati Boringhieri. Editore torinese che mi ha sempre spacciato roba davvero buona. Insomma, lo presi. Purtroppo però, diversamente dai troppi libri presi e lasciati sugli scaffali di casa ad impolverarsi, come ultimamente mi capita troppo spesso di fare, questo lo lessi. Il mondo non fu più lo stesso per me. Mi ri

Decisamente in scena.

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Tornando alle foto che hanno per soggetto le strade della città è facile notare l'insistere sulla presenza del fotografo che si insinua nell'immagine come ombra o come riflesso. È anche evidente la cura con la quale il fotografo evita di mostrare i tratti del proprio volto, condannandosi alla stessa anonimità dei passanti (...) Per la prima volta, con sistematicità e preordinazione, il fotografo non si limita ad osservare o a testimoniare al riparo del suo apparecchio (riparo che assai spesso è barriera) ma entra naturalmente e decisamente in scena, è soggetto e al tempo stesso oggetto della sua visione. Ugo Mulas Le foto di Friedlander , in N.A.C., n°1, 1972, pagg.13-14. (recensione della mostra alla Pillotta di Parma) > https://borful.blogspot.com/2023/01/myself.html

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