Vale più di mille immagini.
Sto riemergendo da un fine settimana a Gonzaga, nell'Oltrepò mantovano, davvero appagante e intenso.
Le cronache storiche dicono che, in un giorno imprecisato del 1488, il signor Corradi, meglio conosciuto come Francesco II Gonzaga marchese di Mantova, cadesse da cavallo poco fuori del paese in direzione di Reggiolo. Non diventò per questo un santo, ma sopravvisse e un paio d'anni dopo iniziò a far costruire nel luogo miracoloso una chiesetta dedicata alla vergine Maria, con annesso convento e semplice ma delizioso chiostro. Ebbe quindi l'intuizione straordinaria, bisogna dargliene merito, che negli anni 2000 quella sarebbe stata la sede ideale per un Festival di fotografia organizzato dal Collettivo diecixdieci, ossia sei giovani gonzaghesi e limitrofi, di quelli che avercene di più in tutta Italia. Mi pare giusto ricordarne i nomi, da sinistra a destra come si vedono nella fotografia d'apertura di questo post: Giulio Gibertoni , Pietro Millenotti, Massimo Caramaschi, Damiano Bonazzi, Alessandro Malavasi, Luana Rigolli.
Han fatto tutto da soli e di testa loro, con il sostegno di altri giovani, Marco Brioni in primis, ma anche di Francesca e i suoi genitori della Taverna del Tasso a Brusatasso, che mi hanno visto naufragare dolcemente nelle meraviglie della loro tipica cucina mantovana fatta in casa. O anche con tutta l'ospitalità alberghiera locale, rappresentata da Il Rifugio, che di stelle ne ha due sull'insegna perché altre due qualche vandalo deve avergliele rubate nottetempo. Ora smetto però, ché senno sembro la pubblicità tv della chiesa cattolica per l'8 per mille. Comunque davvero, "chiedetelo a loro" perché questo piccolissimo Festival sia un così luminoso raggio di luce. E loro forse non sapranno cosa rispondervi perché son così, come li vedete nella fotografia. Se non fosse fuori moda si potrebbero definire "genuini": frutti di una campagna ancora generosa in qualche suo angolo più autentico. Grazie a loro ho potuto incontrare, nella situazione migliore possibile per conoscersi, autori mai visti prima o dare corpo e presenza ad autori conosciuti e anche a dei Resters con cui magari ci si trovava in We Do The Rest da tempo, o ancora stare insieme a chi già conoscevo, ma che per via della distanza non posso frequentare quanto vorrei, come l'amico Steve Bisson di Urbanautica, o infine ritrovare amici, anche del tutto inattesi, che mi han voluto sorprendere d'affetto.
Spero di aver lasciato, come sempre cerco di fare, qualcosa di utile a chi mi ha incontrato, qualcosa che sia d'aiuto nei percorsi di ciascuno, per quello che io posso capire e mettere a disposizione.
In ultimo un'osservazione fotografica. Prima di andare a Gonzaga la fotografia in posa dei sei giovani era per me come la mappa di qualcosa di sconosciuto. Solo Luana l'avevo già brevemente incontrata in altra occasione fotografica, ma gli altri erano un mistero. Oggi, ogni volto, ogni persona è qualcosa di vissuto. Nei loro occhi, nella loro postura, rivedo le cose accadute, i discorsi fatti, le esperienze condivise. La fotografia d'osservazione, anche se fatta in posa, ha questa magia. Non servono innumerevoli scatti di ogni cosa che capita mentre capita. Serve poco. Serve una descrizione fotografica di come sembrano le cose, qualcosa di così verosimile che ci si possa infilare dentro con la testa e sognare o ricordare. Una "vera fotografia" (cit. Gianni Berengo Gardin) vale più di mille immagini.
Le cronache storiche dicono che, in un giorno imprecisato del 1488, il signor Corradi, meglio conosciuto come Francesco II Gonzaga marchese di Mantova, cadesse da cavallo poco fuori del paese in direzione di Reggiolo. Non diventò per questo un santo, ma sopravvisse e un paio d'anni dopo iniziò a far costruire nel luogo miracoloso una chiesetta dedicata alla vergine Maria, con annesso convento e semplice ma delizioso chiostro. Ebbe quindi l'intuizione straordinaria, bisogna dargliene merito, che negli anni 2000 quella sarebbe stata la sede ideale per un Festival di fotografia organizzato dal Collettivo diecixdieci, ossia sei giovani gonzaghesi e limitrofi, di quelli che avercene di più in tutta Italia. Mi pare giusto ricordarne i nomi, da sinistra a destra come si vedono nella fotografia d'apertura di questo post: Giulio Gibertoni , Pietro Millenotti, Massimo Caramaschi, Damiano Bonazzi, Alessandro Malavasi, Luana Rigolli.
Han fatto tutto da soli e di testa loro, con il sostegno di altri giovani, Marco Brioni in primis, ma anche di Francesca e i suoi genitori della Taverna del Tasso a Brusatasso, che mi hanno visto naufragare dolcemente nelle meraviglie della loro tipica cucina mantovana fatta in casa. O anche con tutta l'ospitalità alberghiera locale, rappresentata da Il Rifugio, che di stelle ne ha due sull'insegna perché altre due qualche vandalo deve avergliele rubate nottetempo. Ora smetto però, ché senno sembro la pubblicità tv della chiesa cattolica per l'8 per mille. Comunque davvero, "chiedetelo a loro" perché questo piccolissimo Festival sia un così luminoso raggio di luce. E loro forse non sapranno cosa rispondervi perché son così, come li vedete nella fotografia. Se non fosse fuori moda si potrebbero definire "genuini": frutti di una campagna ancora generosa in qualche suo angolo più autentico. Grazie a loro ho potuto incontrare, nella situazione migliore possibile per conoscersi, autori mai visti prima o dare corpo e presenza ad autori conosciuti e anche a dei Resters con cui magari ci si trovava in We Do The Rest da tempo, o ancora stare insieme a chi già conoscevo, ma che per via della distanza non posso frequentare quanto vorrei, come l'amico Steve Bisson di Urbanautica, o infine ritrovare amici, anche del tutto inattesi, che mi han voluto sorprendere d'affetto.
Spero di aver lasciato, come sempre cerco di fare, qualcosa di utile a chi mi ha incontrato, qualcosa che sia d'aiuto nei percorsi di ciascuno, per quello che io posso capire e mettere a disposizione.
In ultimo un'osservazione fotografica. Prima di andare a Gonzaga la fotografia in posa dei sei giovani era per me come la mappa di qualcosa di sconosciuto. Solo Luana l'avevo già brevemente incontrata in altra occasione fotografica, ma gli altri erano un mistero. Oggi, ogni volto, ogni persona è qualcosa di vissuto. Nei loro occhi, nella loro postura, rivedo le cose accadute, i discorsi fatti, le esperienze condivise. La fotografia d'osservazione, anche se fatta in posa, ha questa magia. Non servono innumerevoli scatti di ogni cosa che capita mentre capita. Serve poco. Serve una descrizione fotografica di come sembrano le cose, qualcosa di così verosimile che ci si possa infilare dentro con la testa e sognare o ricordare. Una "vera fotografia" (cit. Gianni Berengo Gardin) vale più di mille immagini.