Sorti magnifiche e progressive.
Ancora una codina, scusatemi, puoi giuro non ci torno più sopra.
Il primo maggio appena passato c'è stato uno sciopero del personale della Reggia di Venaria Reale, quelle persone che ti accolgono e dovrebbero pure sorriderti. Sciopero a metà perché per la nuova legge chiudere un museo equivale a interrompere un servizio pubblico e si va sul penale. Scioperavano perché a fronte di un sito che si classifica primo in Italia per introiti, il nuovo programma della dirigenza prevede riduzioni di budget per il personale. Personale non certo già ingrassato dagli stipendi attuali. Questa cosa mi ha fatto pensare a quell'oscuro essere umano che è stato licenziato dalla Spezia Scozzese per il fotoritocco famoso di una foto che nella stessa reggia è stata esposta. Destini da "braccianti della cultura" che si incrociano.
Una volta a Torino si fabbricavano automobili che persino i dipendenti potevano comperare con qualche sacrificio. C'era la mutua per i loro figli, che mi fece crescere sano; c'era la colonia estiva, sei estati di fila che radicarono in me un sano rifiuto per l'autorità arbitraria grazie alle "signorine FIAT" che la esercitavano su di noi con un certo intenso piacere; c'era il regalo di Natale per noi piccoli privilegiati figli di operai e impiegati. Insomma c'era profitto, capitale, lavoro e una distribuzione passabile un po' per tutti dei vantaggi relativi. C'era è vero anche il Muro e lo spauracchio dei cosacchi rossi pronti ad abbeverare i loro cavalli a casa dei padroni, ma alla fine la città cresceva con una certa continuità sociale, anche se conflittuale.
Oggi invece non c'è riparo per chi non tiene il coltello dalla parte del manico. Più cresce il profitto, meno ne vengono distribuiti i vantaggi economici e sociali. La cultura, divenuta nel frattempo niente più che uno dei tanti detersivi sugli scaffali dell'ipermercato di chi sa leggere e scrivere (guardare no, ché non si insegna mai e pochi imparano come possono) non sfugge alla regola. Fabbricare cultura a Torino immiserisce più che mai gli "operai" del settore e arricchisce solo le tasche degli imprenditori pubblici e privati. Poi se pure uno sorride di meno o sbaglia a fotoritoccare finisce su una strada, così impara a non saper godere con rispetto di queste sorti magnifiche e progressive.
[ci sto lavorando, ma tracce di quel virus socialista sono ancora attive...]
Il primo maggio appena passato c'è stato uno sciopero del personale della Reggia di Venaria Reale, quelle persone che ti accolgono e dovrebbero pure sorriderti. Sciopero a metà perché per la nuova legge chiudere un museo equivale a interrompere un servizio pubblico e si va sul penale. Scioperavano perché a fronte di un sito che si classifica primo in Italia per introiti, il nuovo programma della dirigenza prevede riduzioni di budget per il personale. Personale non certo già ingrassato dagli stipendi attuali. Questa cosa mi ha fatto pensare a quell'oscuro essere umano che è stato licenziato dalla Spezia Scozzese per il fotoritocco famoso di una foto che nella stessa reggia è stata esposta. Destini da "braccianti della cultura" che si incrociano.
Una volta a Torino si fabbricavano automobili che persino i dipendenti potevano comperare con qualche sacrificio. C'era la mutua per i loro figli, che mi fece crescere sano; c'era la colonia estiva, sei estati di fila che radicarono in me un sano rifiuto per l'autorità arbitraria grazie alle "signorine FIAT" che la esercitavano su di noi con un certo intenso piacere; c'era il regalo di Natale per noi piccoli privilegiati figli di operai e impiegati. Insomma c'era profitto, capitale, lavoro e una distribuzione passabile un po' per tutti dei vantaggi relativi. C'era è vero anche il Muro e lo spauracchio dei cosacchi rossi pronti ad abbeverare i loro cavalli a casa dei padroni, ma alla fine la città cresceva con una certa continuità sociale, anche se conflittuale.
Oggi invece non c'è riparo per chi non tiene il coltello dalla parte del manico. Più cresce il profitto, meno ne vengono distribuiti i vantaggi economici e sociali. La cultura, divenuta nel frattempo niente più che uno dei tanti detersivi sugli scaffali dell'ipermercato di chi sa leggere e scrivere (guardare no, ché non si insegna mai e pochi imparano come possono) non sfugge alla regola. Fabbricare cultura a Torino immiserisce più che mai gli "operai" del settore e arricchisce solo le tasche degli imprenditori pubblici e privati. Poi se pure uno sorride di meno o sbaglia a fotoritoccare finisce su una strada, così impara a non saper godere con rispetto di queste sorti magnifiche e progressive.
[ci sto lavorando, ma tracce di quel virus socialista sono ancora attive...]