Due Francesco per un panorama.
Siamo a maggio e una grande rosa è sbocciata da Camera Centro Italiano per la Fotografia. Il curatore Francesco Zanot mette a segno un bel colpo sotto diversi punti di vista.
Questa "ricognizione", come viene definita nei comunicati di Camera, è in realtà qualcosa di più: un'antologica ragionata sull'opera complessiva fino ad ora portata avanti da Francesco Jodice (1967). Mai prima d'ora realizzata da nessuno. L'occasione quindi per chi la visiterà è quella di poter provare a formare, o riformare, la propria opinione sulle diverse progettualità di Jodice avendole lì a disposizione in un unico momento e luogo, ben esposte e spiegate a sufficienza.
La figura di Jodice appare in tutta la sua ampiezza: dall'origine fotografica, il figlio di Mimmo, sviluppandosi poi nel superamento del fotografico, come ambito a se stante, verso la centralità dell'approccio intellettuale alle tematiche. Da cui far poi derivare le scelte procedurali, di volta in volta scegliendo e combinando ogni possibilità espressiva: dalla fotografia alla scrittura, dall'audiovisivo all'installazione e così via.
L'ambiente che riceve con maggiore attenzione il suo operato è quello dell'arte contemporanea e del suo collezionismo; in primis con le acquisizioni e il sostegno della commissione scientifica di Unicredit per l'Arte presieduta da Walter Guadagnini. Questo però non significa affatto che si possa ricondurre la figura di Jodice solo alla tipologia più consolidata dell'artista contemporaneo "di mercato". Lo dimostrano operazioni come i tre film della serie Citytellers (San Paolo, Aral e Dubai) dove la struttura narrativa è più vicina al documentario di alta qualità distribuibile anche nei canali televisivi e filmici classici per un pubblico mainstream che al solito video d'artista.
In ultimo, ma non per ultimo, dopo il passaggio, a mio avviso non proprio indispensabile, anzi, della precedente mostra sulla Scena del crimine, l'attuale esposizione ricuce il filo avviato con quella d'apertura di Mikhailov e sposta persino la barra fuori dal golfo mistico Magnum verso rotte più aperte e libere dove il fotografico possa anche incontrare la contemporaneità al di là degli interessi corporativi del settore fotogiornalistico.
Per questi motivi la mostra è importante come concreto evento culturale di studio, conoscenza e analisi. Penso che, grazie anche al robusto sostegno mediatico e istituzionale di cui gode Camera, le persone interessate al fotografico e all'arte affluiranno numerose, pure da fuori Torino. E faranno bene.
Questa "ricognizione", come viene definita nei comunicati di Camera, è in realtà qualcosa di più: un'antologica ragionata sull'opera complessiva fino ad ora portata avanti da Francesco Jodice (1967). Mai prima d'ora realizzata da nessuno. L'occasione quindi per chi la visiterà è quella di poter provare a formare, o riformare, la propria opinione sulle diverse progettualità di Jodice avendole lì a disposizione in un unico momento e luogo, ben esposte e spiegate a sufficienza.
La figura di Jodice appare in tutta la sua ampiezza: dall'origine fotografica, il figlio di Mimmo, sviluppandosi poi nel superamento del fotografico, come ambito a se stante, verso la centralità dell'approccio intellettuale alle tematiche. Da cui far poi derivare le scelte procedurali, di volta in volta scegliendo e combinando ogni possibilità espressiva: dalla fotografia alla scrittura, dall'audiovisivo all'installazione e così via.
L'ambiente che riceve con maggiore attenzione il suo operato è quello dell'arte contemporanea e del suo collezionismo; in primis con le acquisizioni e il sostegno della commissione scientifica di Unicredit per l'Arte presieduta da Walter Guadagnini. Questo però non significa affatto che si possa ricondurre la figura di Jodice solo alla tipologia più consolidata dell'artista contemporaneo "di mercato". Lo dimostrano operazioni come i tre film della serie Citytellers (San Paolo, Aral e Dubai) dove la struttura narrativa è più vicina al documentario di alta qualità distribuibile anche nei canali televisivi e filmici classici per un pubblico mainstream che al solito video d'artista.
In ultimo, ma non per ultimo, dopo il passaggio, a mio avviso non proprio indispensabile, anzi, della precedente mostra sulla Scena del crimine, l'attuale esposizione ricuce il filo avviato con quella d'apertura di Mikhailov e sposta persino la barra fuori dal golfo mistico Magnum verso rotte più aperte e libere dove il fotografico possa anche incontrare la contemporaneità al di là degli interessi corporativi del settore fotogiornalistico.
Per questi motivi la mostra è importante come concreto evento culturale di studio, conoscenza e analisi. Penso che, grazie anche al robusto sostegno mediatico e istituzionale di cui gode Camera, le persone interessate al fotografico e all'arte affluiranno numerose, pure da fuori Torino. E faranno bene.