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Visualizzazione dei post da 2019

Dal pisciatoio alla banana, passando per la merda.

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Dal 1917 sono trascorsi 102 anni. In quell'anno Marcel Duchamp presentò a New York la sua "Fountain" sotto lo pseudonimo R. Mutt. L'opera, un pisciatoio da muro comperato da un negozio della città, non venne mai esposta al pubblico e in seguito andò perduta. Ne abbiamo una fotografia di Alfred Stieglitz. Venne invece esposta, e collezionata, la merda d'artista in scatola di Piero Manzoni del 1961. Prodotta in 90 esemplari del peso di 30 grammi ciascuno e messa in vendita alla stessa quotazione dell'oro. Oggi arriva  la banana di Maurizio Cattelàn appesa con del nastro adesivo grigio alle pareti di uno stand della fiera d'arte di Miami e proposta in vendita a 120.000 dollari. Pare già acquistata in 2 copie. A me tutto questo sembra il segno di un percorso giunto a scadenza. Come tutti i massimalismi, a forza di cercare una provocazione scandalosa più scandalosa della precedente si finisce per divenire irrilevanti. Sì, tutti si ricordano del pisciatoio

Dalla parte sbagliata della vita.

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Ci sono due approcci direi opposti ad ogni attività umana: quello che trova nel praticarla la sua soddisfazione e quello che, attraverso di essa, si prefigge di raggiungere risultati quanto più eccellenti possibile. La scelta penso non dipenda dalla volontà, ma dall'inclinazione di ciascuno. Ci si nasce insomma. Per praticare un'attività, e riuscire a provarne piacere a prescindere, è indispensabile non porsi il problema dei risultati. Comunque vada sarà un successo. Gli aspetti gratificanti sono già insiti nel comportamento e nelle situazioni che via via si creano: incontri, spostamenti, relazioni, esperienze. Tutto va bene. "Vedo gente, faccio cose" è il geniale riassunto  di Nanni Moretti per questo particolare orientamento esistenziale. Diversamente, quando il risultato eccellente è lo scopo dell'attività, tutto si complica maledettamente. Ogni azione viene valutata con il massimo spirito autocritico e vivere in una perenne insoddisfazione è quanto di p

E poi Artissima, The Others, Flashback.

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Così, nell'ordine in cui le ho viste. Sono davvero tanti anni ormai che aspetto i tre giorni dell'Apocalisse artistica come fosse Natale. Mi preparo psicofisicamente a sostenere il ritmo elevatissimo imposto dalle quantità: scarsissime di tempo e diluvianti di opere. Purtroppo non ci ho più il fisico . Una sola fiera al dì mi basta e meno male che Paratissima parte prima! Artissima è Artissima . Rimane l'evento che tiene in piedi tutto il resto. Insostituibile. La sede dell'Oval è sempre funzionale e spettacolare. Ormai è un passaggio obbligato e tradizionale della passeggiata torinese festiva, un po' come il Salone del Libro . Si va da soli, in coppia, con la famiglia o in gruppo a transumare tra un corridoio colorato e l'altro cercando qualcosa di diverso, divertente o stupefacente. Finiti i piedi ci si stravacca ovunque o, se si è tra i fighi esclusivi, nella Lounge panoramica o nello spazio Illy. La cosa sempre valida è il trovare tante gallerie da

Paratissima è maggiorenne.

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Valeria Secchi. Non lo pensavo davvero possibile, ma devo dire che Paratissima 15 ha già raggiunto la maggiore età e si presenta oggi come una Fiera d'arte di tutto rispetto, ben allineata alle varie altre che gravitano attorno ad Artissima nei giorni più intensi dell'arte contemporanea a Torino. Cristina Rizza Guelfi. A parte il dover riscontrare qualche difficoltà iniziale a riconoscere il lavoro dei blogger nel comunicare l'evento, cosa piuttosto bizzarra per chi nasce come indipendente ed outsider dell'arte, per il resto il lavoro messo in campo dallo staff è davvero notevole. Tutto è curato e predisposto al meglio possibile. La sede quest'anno è poi particolarmente affascinante, oltre che in eccellente posizione al centro di Torino: l'ex Accademia di artiglieria, subito dietro il Teatro Regio. Fabio Bix. Gli spazi sono stati coerentemente suddivisi su tre piani nelle varie sezioni, rendendo così la visita decisamente più piacevole che in alt

Il prezzo della falsa innocenza.

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Ieri sera si è svolto il secondo incontro di quest'anno organizzato da Phom per il ciclo Fotografia e ambiente . Sono stati invitati il fotografo Paolo Marchetti e il filosofo Leonardo Caffo. Il tema affrontato era quello dello sfruttamento degli animali per l'industria della moda. La serata è stata condotta da Gabriele Magazzù, in sostituzione di Marco Benna , mancato purtroppo da pochi giorni dopo aver coraggiosamente combattuto per mesi un cancro particolarmente aggressivo. Dopo l'intenso momento dell'unanime cordoglio iniziale, Marchetti ha presentato e commentato alcune fotografie dal suo fotoreportage intitolato The Price of Vanity (Il prezzo della vanità) . Immagini realizzate in varie parti del mondo all'interno di aziende di eccellenza del settore dove la lavorazione si svolge nella più normale legalità. Alcuni scatti presi nell'ambiente della moda completavano la serie. Un lavoro durato alcuni anni e pubblicato anche dal National Geographic .  Le

Noi siamo storie.

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"Noi siamo storie" Pietro Benna, 24 luglio 2019. L'autore della frase qui sopra è un bambino di 4 anni e qualcosa  figlio di Marco Benna, mancato il 25 ottobre scorso. In questa frase c'è tutto quello di cui ho avuto modo di discutere con Marco. Lui, intellettuale a tutto tondo, profondamente coinvolto nel mondo di Algirdas Julien Greimas e le ramificazioni semiologiche conseguenti, io totalmente immerso nel liquido amniotico dell'iconografia. Lui partiva dal racconto, io dall'immagine. E discutevamo di fotografie. Non cercando di convincerci a vicenda. Un cremonese e un veneto possono certamente parlarsi, ma non sono in grado di far spostare l'altro di un millimetro da ciò che pensa di sapere. Pur tuttavia, la necessità di alimentare il dialogo portava inevitabilmente alla precisazione, all'approfondimento, alla verifica. Oggi tutto questo è finito. Sento la sua voce nella testa, sento che ci sono questioni ancora da affrontare, aspetti da

Il fotografo, la morte e la seconda morte.

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"Robert Frank è morto per la seconda volta" . Ho letto questo post su Facebook il 10 settembre scorso, data della diffusione sulla rete della notizia della sua morte, avvenuta il giorno prima, e dell'ondata travolgente di commozione espressa dalla maggior parte dei miei contatti. Sul momento quella frase mi risuonava sgradevole, persino ingenerosa. Poi, riflettendoci, in effetti se non ci fosse la rete e non avessi letto un quotidiano nazionale fino alle pagine della cultura, per me oggi Frank sarebbe ancora vivo, ma più probabilmente già morto da chissà quanto tempo. Un po' come capita con i nomi famosi dello spettacolo che hanno fatto qualcosa di memorabile tanti anni fa e dopo di allora se ne sono perse le tracce. Robert Frank ha fatto un solo libro: The Americans .  Nel 1955, sostenuto da Walker Evans, fu il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale della Fondazione Guggenheim per realizzare un suo progetto. Viaggiò per oltre 10.000 chilom

Dedizione senza brama.

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"Dalla tristezza che spesso diventò insopportabile, trovai una via d'uscita per me cominciando a disegnare e a dipingere, ciò che non avevo mai fatto in vita mia. Non importa se ha un valore oggettivo; per me è un nuovo immergersi nel consolamento dell'arte, che lo scrivere non mi dava quasi più. Dedizione senza brama, amore senza desiderio." Hermann Hesse (da una lettera allo scrittore Felix Braun, 1917) Esiste un Hermann Hesse pittore. Non è assolutamente paragonabile allo scrittore fondamentale che fu. Lo sapeva benissimo lui stesso. Tuttavia, a ben guardare, i suoi acquerelli non hanno solo un'importanza biografica e personale. Facevano parte in un certo qual modo di un'autoterapia per la depressione che verso i quarant'anni lo affliggeva con forza. Fu il suo psicanalista di scuola junghiana a consigliargli di "buttare fuori" non con le parole, ma con le immagini gli stati d'animo inesprimibili che lo agitavano. Camminare, nel pae

La contemporaneità del fotografare.

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Una riflessione utile riguardo alla pratica fotografica è quella sul rapporto con la contemporaneità. L’idea del contemporaneo si afferma attorno alla fine degli anni Sessanta nei vari ambiti culturali come attività di critica e superamento del Modernismo. Non si tratta quindi solo e semplicemente di una fase storica e cronologica. Non basta prendere fotografie adesso perché esse siano automaticamente contemporanee. Perché lo siano veramente è necessario che si pongano in antitesi al Moderno, proponendo soluzioni di altra natura formale e concettuale. Tuttavia nell’ambito della cultura fotografica nostrana, le questioni non vengono quasi mai poste in questi termini. Nella norma, ci si riferisce al fotografare usando come metodo i “generi”, suddividendo cioè la pratica in filoni iconografici con loro precise regole di funzionamento, facilmente comprensibili a chiunque. Per decenni poi è stata adottata la suddivisione tra fotografia amatoriale e professionale, attribuendo a ciascuna

Non importa dove, non importa quando.

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Tra i tanti possibili, c'è anche un approccio al prendere fotografie che non si lega al luogo, e nemmeno al tempo, in cui ciò accade. L'unica attenzione è al trasferimento di un'esperienza visiva, percettiva, in un'immagine che riesca a contenere lo scarto di pensiero che l'ha provocata. Nel caso dell'immagine fotografica, tutto accade nella contingenza del momento, senza ripensamenti possibili. Almeno per coloro, come me, che praticano il "fotografare ambulante". Muoversi senza mete e intenzioni verso l'incontro occasionale, inatteso. L'immagine qui sopra nasce così e la possibilità di ottenerla è durata pochi istanti, poi la scena è immediatamente mutata con lo spostamento del giovane. Il tempo di osservarlo, di decidere che poteva meritare di essere trasferito in una fotografia del mio archivio e di mettere in atto la fotocamera allo scopo. Ritengo che la fotografia contenga in modo ben visibile il pensiero che mi ha spinto a prenderl

La Cappella si stima.

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Bravo, non c'è che dire. David LaChapelle nella mostra della Venaria Reale viene presentato come meglio non si potrebbe. Il luogo e l'allestimento sono celebrativi al massimo. Le stampe fotografiche, in parte chimiche e in parte a getto d'inchiostro, sono di medie e grandi dimensioni. Il colore industriale di cui sono fatte viene usato con quel professionismo statunitense che non ha rivali nel mondo, nemmeno in Europa. C'è poco da fare, nel vero paese che ha inventato la fotografia (in Francia lo è stata per caso) chiunque possa avere qualcosa da dare in pasto ai supertecnici del settore se lo ritrova confezionato a regola d'arte e persino qualcosa in più. La stima quindi è altissima, il professionismo esposto è ai massimi livelli. Applausi. Però, come al circo e in tutte le cose della vita, quando passi il tuo tempo ad ammirare la bravura tecnica è perché, a parte quella, non c'è davvero nient'altro. Ogni idea, ogni riferimento iconografico, ogni

La Grande Sovversiva.

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Non mi persuade, direbbe Salvo Montalbano, che la post-fotografia consista in qualcosa di davvero diverso dalla fotografia come l'abbiamo conosciuta per tutto il Novecento e oltre. Semmai ad essere davvero cambiato è il contesto culturale nel quale diluviano, sempre più monsoniche, le fotografie. Quasi che i radicali cambiamenti del clima in atto influenzino anche le culture visive degli umani. Quanti autori possono starci in una storia antologica, e magari pure cronologica, della fotografia? Cento? Cinquecento? Mille son già troppi, perché mica sono garibaldini.  A fronte della esponenziale facilità di prendere una fotografia e la ancora più esponenziale possibilità che non sia malaccio, sia come forma sia come contenuto, ecco che l'Autore, quello che abbiamo imparato a conoscere fino a pochi anni fa, diventa ormai improponibile. Chi se ne frega oggi di chi ha preso la foto? Che sia un "Grande Maestro" o un "Super Benemerito Assoluto della Fotografia Marmot

Uno a uno e palla al centro.

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C'è tempo ancora fino al 14 luglio per poter visitare la mostra Viaggi e vedute: da Roma a Shangai , a cura di Andrea Busto e allestita al Museo Ettore Fico di Torino. L'esposizione è dedicata a Gabriele Basilico e comprende oltre 50 stampe, di varie dimensioni. Una summa raffinata, a tratti persino commovente, della sua straordinaria opera fotografica. Corpus fondamentale della mostra è la sezione dedicata all'incarico ricevuto nel 2010 dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia per la retrospettiva dedicata al grande incisore veneto Giambattista Piranesi . In quell’occasione, venne chiesto a Basilico di fotografare Roma dalle stesse angolazioni delle incisioni piranesiane. Il risultato furono 32 stampe fotografiche presentate poi in dittico con le 32 incisioni corrispondenti di Piranesi. Il confronto è davvero molto interessante perché mette in grande evidenza la sostanziale differenza che esiste tra un disegno prospettico e una fotografia. Il fotografo usa un con

Un nuovo pensiero sulle cose.

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Si sente dire a volte ad un matematico che una certa formula è bella. Ha una sua estetica elegante, semplice, che la rende particolarmente piacevole per la mente che la incontra. Succede in diversi ambiti. Soluzioni così ben riuscite da sembrare delle vere e proprie "opere d'arte". Anche in fotografia può capitare. Fotografie che diventano "iconiche" talmente sono perfette, anche se prese magari per caso o per sbaglio. Possiedono un fascino in più che cattura, seduce, le rende difficili da dimenticare. Icona, così intesa, e fotografia non sono però sinonimi, anche se oggi la fotografia vincente sulla rete  e nei media è proprio l'icona. Una fotografia nella stragrande maggioranza dei casi è solo una traccia visibile dell'azione della luce passata per un congegno a base ottica e resa durevole per via chimica o elettronica. In questa semplice caratteristica risiede un'altra possibilità estetica, quella analitica. Un'immagine cioè che conti

Il destino viene da Beirut.

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Questo non è un blog di recensioni cinematografiche, ma lo scrivente al cinema continua ogni tanto ad andarci. Quelli con le sedute scomode, pochi posti, al freddo umido, in specie negli scantinati delle chiese cattoliche, dove sparuti manipoli di eroi laici associati propongono imperterriti il "cinema d'essai" a pochi euro. Privilegi del vivere nella Torino d'antan . Anche un modo per sentirsi eternamente giovani, visti i "lupi bianchi" che spuntano nei pochi posti occupati intorno. Poi vuoi mettere il brivido del tizio che in una sala semideserta ti si piazza proprio davanti? Lì scopri davvero la distanza effimera tra la civiltà acquisita e la violenza primordiale che ti sonnecchia dentro. Venendo al sodo. Altro film da evitare come la peste è " Cafàrnao - caos e miracoli " della regista libanese Nadine Labaki. Ve lo dico subito: è l'ennesima fiaba buonista dell'ONU per far piangere le zekke rosse mondialiste. Ancora un momento.

Takara, il cinema, quello vero.

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Non andate a vedere Takara - la notte che ho nuotato , potreste pentirvi di tutte le volte che avete subito robaccia mal girata e mal scritta perché vi dicevano che era buona. Questo delizioso film diretto e sceneggiato a due mani dal francese Damien Manivel e dal nipponico Kohei Igarashi è prima di tutto un'esperienza sempre più rara. Silenzio, tempo dell'azione corrispondente a quello reale, quasi muto, persino quasi senza commento musicale. Qualcosa tra la migliore Nouvelle Vague e il mitico Yasujiro Ozu. Certo, se siete ormai intossicati da cattiva adrenalina cinematografica potreste non restare fino alla fine. Meglio per chi invece ama ancora stare in una sala, meglio ancora se all'antica e con poca gente attorno, a vivere con un bambino come se fossimo nei suoi primi pensieri e nelle sue innocenti e così coraggiose gesta. Solo, si muove in un Giappone disabitato e dove nessuno gli bada. Fotografa persino, con una rossa piccola tenera Canon compatta.  E proprio m

Uscita finale.

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Oggi sono uscito con gli allievi del Master IED per provare sul campo alcune procedure e concetti della fotografia di architettura e territorio. L'area di "gioco" prescelta è stata il giardino pubblico  Nicola Grosa , che occupa lo spazio tra il nuovo Palagiustizia , costruito tra il 1990 e il 2001 su progetto di vari architetti, e il grattacielo Intesa Sanpaolo , costruito tra il 2008 e il 2015 su progetto di Renzo Piano. Vedremo alla prossima e ultima lezione cosa si è combinato. Al di là di tutto, è sempre stimolante prendere in considerazione varie questioni storiche e urbanistiche che apparentemente non sono fotografabili, ma che in realtà si manifestano nell'orientare i pensieri e le soluzioni visive conseguenti. Un approccio al fotografare che non si esaurisce davvero mai.

La postfotografia e il falso problema del diluvio fotografico.

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A grande richiesta, come si usa dire, torno a scrivere quello che mi passa per la testa in questo blog che dallo scorso anno avevo ridotto a semplice sito personale. Lo faccio innanzitutto per me, autoreferenziale sempre e per sempre, ma ovviamente anche per coloro che gradissero leggermi. Passando al dunque, ieri sera da Camera a Torino , Joan Fontcuberta ci ha parlato della sua visione del fotografico. Considerato uno dei massimi esponenti della fotografia contemporanea, da decenni punta la sua attenzione sul rapporto tra gli umani e la conoscenza. Arcinote tra gli addetti ai lavori le sue serie e le installazioni che disturbano il rapporto tra vero e falso, anticipando persino, soprattutto nelle prime operazioni, la discussione attuale sulle fake news . Nella prima parte del suo discorso stavolta ha voluto ribadire alcuni concetti che ha da poco espresso nel libro La furia delle immagini . Una sua tesi fondamentale è che siamo nell'epoca della postfotografia . La postfot

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