Uno a uno e palla al centro.


C'è tempo ancora fino al 14 luglio per poter visitare la mostra Viaggi e vedute: da Roma a Shangai, a cura di Andrea Busto e allestita al Museo Ettore Fico di Torino. L'esposizione è dedicata a Gabriele Basilico e comprende oltre 50 stampe, di varie dimensioni. Una summa raffinata, a tratti persino commovente, della sua straordinaria opera fotografica.

Corpus fondamentale della mostra è la sezione dedicata all'incarico ricevuto nel 2010 dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia per la retrospettiva dedicata al grande incisore veneto Giambattista Piranesi. In quell’occasione, venne chiesto a Basilico di fotografare Roma dalle stesse angolazioni delle incisioni piranesiane. Il risultato furono 32 stampe fotografiche presentate poi in dittico con le 32 incisioni corrispondenti di Piranesi.

Il confronto è davvero molto interessante perché mette in grande evidenza la sostanziale differenza che esiste tra un disegno prospettico e una fotografia.

Il fotografo usa un congegno a base ottica non come ausilio per ottenere un'immagine in prospettiva, ma proprio per averne una finale. Un limite che il disegnatore non ha, potendosi avvalere, se lo desidera, della camera ottica, l'antenata della fotocamera, ma solo per dare rapidamente una struttura al suo disegno e rimanendo sempre libero di modificarlo secondo il suo pensiero. Nel Settecento la regola di visione condivisa da tutti non è quella ottica, ma quella prospettica e si accettano tutte le correzioni di geometria e proporzione che siano utili per restituire l'effetto scenico in modo che sia ritenuto verosimile. Si tiene quindi ben presente l'aspetto emozionale della percezione e si cerca di soddisfarlo.

Con l'avvento del fotografico, i principi dell'ottica prendono il sopravvento sulla prospettiva e definiscono il limite dell'immagine, che da essi dipende ormai completamente. Le ottiche però non coincidono mai con lo sguardo umano, frutto complesso dell'interazione fisica e mentale tra occhi, cervello e corpo. Le ottiche riducono tutto allo schema con cui sono state costruite. Introducono quindi inevitabilmente e sempre delle diversità, o se si vuole deformazioni, che però vengono sovente accettate come "naturali" dagli umani nati e viventi nell'epoca fotografica.

Siamo perciò solo passati da un'ideologia della visione ad un'altra. Da quella prospettica del Settecento a quella fotografica del nostro tempo. Entrambe diverse dalla visione umana, ma con sufficienti punti di coincidenza da venir, nel loro tempo, riconosciute come verosimili. Un pareggio in sostanza. Con una mozione di affetto e riconoscenza per chi le immagini le costruiva pazientemente a mano, segno dopo segno e pensiero dopo pensiero.



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