L'autore, il professionista e la comunicazione.

La vicenda delle fotografie di Letizia Battaglia per la comunicazione di marchio della Lamborghini è ormai piuttosto nota, almeno sulla rete italofona. Chiarisco subito che le fotografie mi lasciano abbastanza indifferente. Colgo però anch'io che quelle bambine con lo sfondo delle supercar di lusso nella scena storica di Palermo hanno qualcosa di sgradevole. Problema mio e di quanti hanno sensibilità affine alla mia. Non è questo il punto che mi spinge a scrivere.

Piuttosto mi pare invece molto interessante pensare al rapporto tra autorialità, professionismo e comunicazione, prendendo spunto da questo caso.

Un autore, o un artista se si vuole, per me è un umano che mette insieme a suo modo qualcosa ottenendo un risultato che prima di allora non esisteva così, anche solo per alcuni aspetti. Di solito, se il risultato è molto dirompente, affronta anche un periodo, che può durare persino secoli, nel quale il suo lavoro non solo non viene compreso, ma nemmeno accettato. Eppure questi strani umani che si espongono ad un calvario simile persistono e difatti se ne costruiscono poi delle storiografie, che a volte finiscono per riuscire a ridare loro il merito prima negato. Quindi chi segue questa strada mette nel conto che lo fa per se stesso nell'intima convinzione incrollabile di essere nel giusto, nonostante l'opinione di tutti gli altri.

Per questo forse, nella narrazione romantica delle vite degli artisti d'un tempo si usava raffigurarli come acrobati in equilibrio su una sottile lama di rasoio tra genio e follia. 

Diversa la posizione del professionista. Siamo di fronte ad un umano che si pone l'obiettivo di soddisfare le esigenze di altri umani. Il suo lavoro deve, come recita anche il Codice Civile per la posizione dell'artigiano, essere fatto "a regola d'arte" o nel caso di chi è iscritto ad ordini professionali "secondo scienza e coscienza". Non è ammissibile che il cliente riceva un bene o una prestazione inadeguata allo standard di settore a fronte del pagamento richiesto. Sarebbe una frode.

E qui si arriva alla comunicazione. Un'attività che non prevede altro risultato possibile se non quello della sua efficacia diretta e immediata. Se la comunicazione fallisce, porta con se stessa un danno per chi la effettua. Qualsiasi comunicazione e a maggior ragione quella aziendale di un bene che si intende vendere sul mercato.

Se quanto fin qui considerato è ragionevole, allora mettere un autore nella condizione di piegare il suo lavoro alle esigenze della comunicazione è il primo errore faustiano. 

Proviamo ad immaginare una campagna di comunicazione di una compagnia di crociere con le foto a colori delle sue grandi navi fatte fare apposta a Gianni Berengo Gardin, sullo sfondo di Venezia. Oppure una campagna di promozione del Parmigiano Reggiano con le sue belle forme inserite in un'immagine di Luigi Ghirri, lui vivente. Gli esempi sono innumerevoli. Un Cesare Pavese che scrivesse un racconto per le aziende agrituristiche delle Langhe con i loro nomi e le offerte. Un Fellini che facesse uno spot per la Barilla (ma questo è successo per davvero ed ha funzionato splendidamente). Ecco, Fellini. Un autore può accettare la sfida e mettersi nei panni del comunicatore per conto terzi, ma per fare questo deve avere alle spalle una competenza professionale pregressa. Fellini prima di essere Fellini, disegnava vignette e campava nel mondo editoriale professionale. Lo stesso per un Warhol che prima di essere Warhol fu un grafico pubblicitario. Se l'autorialità deriva da una professionalità, tutto si tiene. Se invece l'autore non ha queste competenze, il suo risultato sarà dilettantesco e controproducente per la sua immagine d'autore, ma anche per il committente. Posto che l'astuto committente non cercasse solo di far parlare di sé, anche male, purché se ne parlasse. Allora l'autore sarebbe caduto in una trappola, e sarebbe stato usato cinicamente per farsi belli del suo prestigio.

Penso stia a chi è stato ampiamente riconosciuto come autore non cadere in simili trappole. Non si possono facilmente tenere i piedi in due staffe, ci vuole consapevolezza e competenza. Gli americani di solito sono maestri in questo. Gli europei, e noi italiani in primis, quasi per niente.

Un ultimo appello al mondo aziendale nel suo rapporto con gli autori. Sarebbe magnifico se le aziende che volessero dare lustro a loro stesse evitassero di tendere trabocchetti agli autori, ma tornassero a fare del vero mecenatismo. Anche le aziende pubbliche e persino le istituzioni. Aiutate gli autori che trovate stimabili a fare il loro autentico lavoro e non portateli invece a produrre risultati inadeguati costringendoli a fare quello che i vostri uffici comunicazione, o dirigenti o vertici, partoriscono. 

Lo so, sento il vento del deserto disperdere queste mie parole, ma oggi avevo voglia di scriverle e tanto mi basta.

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