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Visualizzazione dei post da luglio, 2016

Mi pare una sconfitta.

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Ho potuto assistere alla presentazione finale del lavoro svolto dagli studenti del Masterclass Visual Storytelling in the Digital Age a cura dell' International Center of Photography di New York e svoltosi a Torino dal 4 al 29 luglio 2016 presso Camera Centro Italiano per la Fotografia . Si trattava della prima volta che la rinomata scuola di fotografia americana portava in un'altra parte del mondo un programma così lungo da costituire un vero e proprio riassunto intensivo di un loro corso annuale. Occasione quindi eccezionale per i partecipanti di mettersi alla prova ad una piccola frazione del costo, davvero molto elevato, che avrebbero pagato per stare un anno a New York a frequentare l'ICP. Il tema del corso torinese era incentrato sulle tecniche del racconto fotografico per il web 2.0. Purtroppo, per motivi miei di tempo, ho potuto vedere solo la prima parte dei lavori, ma ritengo siano stati sufficienti per farmi un'idea approssimata su quanto sia stato

Scusate il francese.

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La misura del tempo è il denaro, così come quella del denaro è il tempo. Più tempo a disposizione per se stessi equivale a meno denaro guadagnato e viceversa. Con le dovute eccezioni, perché se qualcuno prima di noi ha sacrificato il suo tempo per guadagnare denaro in eccesso rispetto alla durata della sua esistenza, questo può essere speso per avere tempo libero dalla necessità di guadagnare nuovo denaro per vivere. In ogni caso il denaro non si crea e non si distrugge, passa semplicemente di mano. La vita no. Ha un inizio e una fine. Quindi il tempo esistenziale non è una variabile infinita, come lo è invece potenzialmente il denaro. Misurare il tempo della vita con il denaro è quindi un errore, come il sommare mele con pere. Sono cose ben diverse e separate. La vita è unica, irripetibile e scorre inesorabilmente verso la sua fine. Non c'è davvero nessuna quantità di denaro che possa compensare una singola vita umana. In linea di principio, ogni essere umano dovrebbe perciò

In qualche modo arginata.

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Ci sono delle componenti basilari nella produzione di immagini contemporanea che non possono facilmente prescindere dal livello tecnologico raggiunto dalla comunicazione telematica. Penso che chiunque dia per scontato di poter vedere sostanzialmente qualsiasi cosa dal suo smartphone. Lo smartphone e similari strumenti mobili di connessione, molto più di quanto a suo tempo fece il personal computer, costituiscono in ogni ambito la principale fonte di relazione e informazione interpersonale a distanza. A volte è persino così invasiva da sostituirsi alla relazione diretta anche tra le pareti domestiche (inviare un WhatsApp al figlio barricato nella sua stanza per dirgli che la pappa è pronta, invece di andarlo a stanare di persona, non è più un comportamento così surreale come sarebbe potuto sembrare fino a pochi anni fa). Ne consegue che l'educazione visiva, la capacità di guardare e capire le immagini, è una pratica autodidattica che si svolge ogni giorno inconsapevolmente sui

Stieglitz secondo Frillici.

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Ho dato una prima lettura al breve saggio di Pier Francesco Frillici intitolato L'esperienza del risveglio - Alfred Stieglitz nella fotografia e nell'arte del suo tempo A pubblicarlo è l' Editrice Quinlan di Roberto Maggiori. Non sarò mai abbastanza grato all'intensità e qualità delle scelte editoriali di Maggiori. Un nutrimento più unico che raro nel panorama culturale italiano. Di Frillici avevo già molto apprezzato Sulle strade del reportage - L'odissea fotografica di Walker Evans, Robert Frank, Lee Friedlander , edito sempre da Maggiori. Come in quel caso, anche ora riesce a dare prospettive nuove di lettura su autori ed eventi ai quali in apparenza sembrerebbe impossibile aggiungere qualcosa. La vicenda umana e artistica di Alfred Stieglitz è nodale per comprendere gli sviluppi dell'arte moderna negli Stati Uniti e non solo. Il fatto di essere partito dall'ambiente del Pittorialismo fotografico  ha impedito a lungo il riconoscimento

Per tutto il tempo che serve.

Insomma, per farla breve, nei commenti degli amici di Facebook al post di ieri, emergono tre linee di pensiero. La prima condivide la mia ipotesi sull'assenza di fiducia odierna nella possibilità del fotografico di veicolare senso con una serialità nuda e cruda. E qui emerge anche la tesi che la sfiducia nasca da incapacità dei "fotografi seriali" di far bene il loro lavoro, ma non era mia intenzione spingermi su un terreno critico così scivoloso. La seconda propende per una "mutazione genetica", nella quale si perde la forma classica della serialità a favore delle commistioni con parole, impaginazioni, cartotecnica e altro, dove l'opera finale è un oggetto nel quale il fotografo interviene sì, ma solo in parte. Quindi prevale una logica di produzione collettiva, che coinvolge più figure e competenze, a meno che non siano riassunte in un'unica persona la quale però a questo punto non sarebbe solo un fotografo. E qui nasce la terza possibilità: l

Un oceano tutto nuovo.

Con questo post inizio a sperimentare una "versione mobile" della redazione del blog. Dallo smartphone tutto diventa rudimentale e devo per ora rinunciare alle immagini. Chiedo quindi perdono per ciò che non funzionerà come al solito. Andando al dunque, sto notando come sia in aumento esponenziale la produzione di libri fotografici, in genere ma non solo autoprodotti, nei quali oggettualità e grafica prevalgono sul fotografico. Per la mia esperienza e sensibilità, la forma "libro" o "album" è un contenitore che permette di presentare una serie di fotografie secondo un ordine autoriale non vincolato all'oggetto specifico, ma relativo al progetto originario. Mi chiedo quindi se questa tendenza contemporanea non sia anche provocata da una perdita di fiducia nella possibilità che la serie fotografica sia ancora in grado di contenere un senso, almeno bastante, a venir rintracciato e compreso nel mare magno che inflaziona le esperienze visive in c

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