Mi pare una sconfitta.
Ho potuto assistere alla presentazione finale del lavoro svolto dagli studenti del Masterclass Visual Storytelling in the Digital Age a cura dell'International Center of Photography di New York e svoltosi a Torino dal 4 al 29 luglio 2016 presso Camera Centro Italiano per la Fotografia.
Si trattava della prima volta che la rinomata scuola di fotografia americana portava in un'altra parte del mondo un programma così lungo da costituire un vero e proprio riassunto intensivo di un loro corso annuale. Occasione quindi eccezionale per i partecipanti di mettersi alla prova ad una piccola frazione del costo, davvero molto elevato, che avrebbero pagato per stare un anno a New York a frequentare l'ICP.
Il tema del corso torinese era incentrato sulle tecniche del racconto fotografico per il web 2.0. Purtroppo, per motivi miei di tempo, ho potuto vedere solo la prima parte dei lavori, ma ritengo siano stati sufficienti per farmi un'idea approssimata su quanto sia stato proposto agli allievi e da essi appreso.
In sintesi, l'orientamento prevalente è verso il multimediale. Brevi storie di pochi minuti, meno quindi di un documentario cinematografico corto, con degli inserti video girati dalla fotocamera, un parlato della persona oggetto della storia e immagini fotografiche fisse di precisazione del contesto. A volte con sottofondo musicale o anche solo con rumorismo in presa diretta.
Trovo che i partecipanti abbiano dato in generale una buona prova di loro stessi, il che avvalora il fatto che i docenti abbiano lavorato con successo. Se consideriamo poi che la lingua del corso era l'inglese e che i partecipanti non erano solo italiani, il lavoro svolto è stato ancora più efficace e riuscito.
Le mie perplessità non sono quindi rivolte verso la professionalità dei docenti o le capacità dimostrate dagli allievi, ma proprio verso il concetto di visual storytelling messo in atto. Mi pare che sia un'applicazione del fotografico molto riduttiva e rivolta ad un pubblico di alfabetizzati connessi che abbiano scarse, o anche nulle, capacità di relazionarsi autonomamente con delle immagini senza l'aiutino delle stampelle di parole e suoni/rumori. Scivoliamo quindi in un terreno vago che si avvicina al cinema documentario, assorbendone alcune caratteristiche fondamentali, dove la visione delle immagini fotografiche fisse si disperde nel flusso temporale prestabilito. Capisco che "il mitico mercato" possa chiedere questo, non so poi fino a che punto, ma già il cinema è da sempre "fotografia che ti illude di muoversi". Capirai la novità...
Fosse una scuola di cinema, lo comprenderei molto bene. Per una scuola di fotografia invece mi pare una sconfitta.
Si trattava della prima volta che la rinomata scuola di fotografia americana portava in un'altra parte del mondo un programma così lungo da costituire un vero e proprio riassunto intensivo di un loro corso annuale. Occasione quindi eccezionale per i partecipanti di mettersi alla prova ad una piccola frazione del costo, davvero molto elevato, che avrebbero pagato per stare un anno a New York a frequentare l'ICP.
Il tema del corso torinese era incentrato sulle tecniche del racconto fotografico per il web 2.0. Purtroppo, per motivi miei di tempo, ho potuto vedere solo la prima parte dei lavori, ma ritengo siano stati sufficienti per farmi un'idea approssimata su quanto sia stato proposto agli allievi e da essi appreso.
In sintesi, l'orientamento prevalente è verso il multimediale. Brevi storie di pochi minuti, meno quindi di un documentario cinematografico corto, con degli inserti video girati dalla fotocamera, un parlato della persona oggetto della storia e immagini fotografiche fisse di precisazione del contesto. A volte con sottofondo musicale o anche solo con rumorismo in presa diretta.
Trovo che i partecipanti abbiano dato in generale una buona prova di loro stessi, il che avvalora il fatto che i docenti abbiano lavorato con successo. Se consideriamo poi che la lingua del corso era l'inglese e che i partecipanti non erano solo italiani, il lavoro svolto è stato ancora più efficace e riuscito.
Le mie perplessità non sono quindi rivolte verso la professionalità dei docenti o le capacità dimostrate dagli allievi, ma proprio verso il concetto di visual storytelling messo in atto. Mi pare che sia un'applicazione del fotografico molto riduttiva e rivolta ad un pubblico di alfabetizzati connessi che abbiano scarse, o anche nulle, capacità di relazionarsi autonomamente con delle immagini senza l'aiutino delle stampelle di parole e suoni/rumori. Scivoliamo quindi in un terreno vago che si avvicina al cinema documentario, assorbendone alcune caratteristiche fondamentali, dove la visione delle immagini fotografiche fisse si disperde nel flusso temporale prestabilito. Capisco che "il mitico mercato" possa chiedere questo, non so poi fino a che punto, ma già il cinema è da sempre "fotografia che ti illude di muoversi". Capirai la novità...
Fosse una scuola di cinema, lo comprenderei molto bene. Per una scuola di fotografia invece mi pare una sconfitta.