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Visualizzazione dei post da giugno, 2019

Uno a uno e palla al centro.

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C'è tempo ancora fino al 14 luglio per poter visitare la mostra Viaggi e vedute: da Roma a Shangai , a cura di Andrea Busto e allestita al Museo Ettore Fico di Torino. L'esposizione è dedicata a Gabriele Basilico e comprende oltre 50 stampe, di varie dimensioni. Una summa raffinata, a tratti persino commovente, della sua straordinaria opera fotografica. Corpus fondamentale della mostra è la sezione dedicata all'incarico ricevuto nel 2010 dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia per la retrospettiva dedicata al grande incisore veneto Giambattista Piranesi . In quell’occasione, venne chiesto a Basilico di fotografare Roma dalle stesse angolazioni delle incisioni piranesiane. Il risultato furono 32 stampe fotografiche presentate poi in dittico con le 32 incisioni corrispondenti di Piranesi. Il confronto è davvero molto interessante perché mette in grande evidenza la sostanziale differenza che esiste tra un disegno prospettico e una fotografia. Il fotografo usa un con

Un nuovo pensiero sulle cose.

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Si sente dire a volte ad un matematico che una certa formula è bella. Ha una sua estetica elegante, semplice, che la rende particolarmente piacevole per la mente che la incontra. Succede in diversi ambiti. Soluzioni così ben riuscite da sembrare delle vere e proprie "opere d'arte". Anche in fotografia può capitare. Fotografie che diventano "iconiche" talmente sono perfette, anche se prese magari per caso o per sbaglio. Possiedono un fascino in più che cattura, seduce, le rende difficili da dimenticare. Icona, così intesa, e fotografia non sono però sinonimi, anche se oggi la fotografia vincente sulla rete  e nei media è proprio l'icona. Una fotografia nella stragrande maggioranza dei casi è solo una traccia visibile dell'azione della luce passata per un congegno a base ottica e resa durevole per via chimica o elettronica. In questa semplice caratteristica risiede un'altra possibilità estetica, quella analitica. Un'immagine cioè che conti

Il destino viene da Beirut.

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Questo non è un blog di recensioni cinematografiche, ma lo scrivente al cinema continua ogni tanto ad andarci. Quelli con le sedute scomode, pochi posti, al freddo umido, in specie negli scantinati delle chiese cattoliche, dove sparuti manipoli di eroi laici associati propongono imperterriti il "cinema d'essai" a pochi euro. Privilegi del vivere nella Torino d'antan . Anche un modo per sentirsi eternamente giovani, visti i "lupi bianchi" che spuntano nei pochi posti occupati intorno. Poi vuoi mettere il brivido del tizio che in una sala semideserta ti si piazza proprio davanti? Lì scopri davvero la distanza effimera tra la civiltà acquisita e la violenza primordiale che ti sonnecchia dentro. Venendo al sodo. Altro film da evitare come la peste è " Cafàrnao - caos e miracoli " della regista libanese Nadine Labaki. Ve lo dico subito: è l'ennesima fiaba buonista dell'ONU per far piangere le zekke rosse mondialiste. Ancora un momento.

Takara, il cinema, quello vero.

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Non andate a vedere Takara - la notte che ho nuotato , potreste pentirvi di tutte le volte che avete subito robaccia mal girata e mal scritta perché vi dicevano che era buona. Questo delizioso film diretto e sceneggiato a due mani dal francese Damien Manivel e dal nipponico Kohei Igarashi è prima di tutto un'esperienza sempre più rara. Silenzio, tempo dell'azione corrispondente a quello reale, quasi muto, persino quasi senza commento musicale. Qualcosa tra la migliore Nouvelle Vague e il mitico Yasujiro Ozu. Certo, se siete ormai intossicati da cattiva adrenalina cinematografica potreste non restare fino alla fine. Meglio per chi invece ama ancora stare in una sala, meglio ancora se all'antica e con poca gente attorno, a vivere con un bambino come se fossimo nei suoi primi pensieri e nelle sue innocenti e così coraggiose gesta. Solo, si muove in un Giappone disabitato e dove nessuno gli bada. Fotografa persino, con una rossa piccola tenera Canon compatta.  E proprio m

Uscita finale.

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Oggi sono uscito con gli allievi del Master IED per provare sul campo alcune procedure e concetti della fotografia di architettura e territorio. L'area di "gioco" prescelta è stata il giardino pubblico  Nicola Grosa , che occupa lo spazio tra il nuovo Palagiustizia , costruito tra il 1990 e il 2001 su progetto di vari architetti, e il grattacielo Intesa Sanpaolo , costruito tra il 2008 e il 2015 su progetto di Renzo Piano. Vedremo alla prossima e ultima lezione cosa si è combinato. Al di là di tutto, è sempre stimolante prendere in considerazione varie questioni storiche e urbanistiche che apparentemente non sono fotografabili, ma che in realtà si manifestano nell'orientare i pensieri e le soluzioni visive conseguenti. Un approccio al fotografare che non si esaurisce davvero mai.

La postfotografia e il falso problema del diluvio fotografico.

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A grande richiesta, come si usa dire, torno a scrivere quello che mi passa per la testa in questo blog che dallo scorso anno avevo ridotto a semplice sito personale. Lo faccio innanzitutto per me, autoreferenziale sempre e per sempre, ma ovviamente anche per coloro che gradissero leggermi. Passando al dunque, ieri sera da Camera a Torino , Joan Fontcuberta ci ha parlato della sua visione del fotografico. Considerato uno dei massimi esponenti della fotografia contemporanea, da decenni punta la sua attenzione sul rapporto tra gli umani e la conoscenza. Arcinote tra gli addetti ai lavori le sue serie e le installazioni che disturbano il rapporto tra vero e falso, anticipando persino, soprattutto nelle prime operazioni, la discussione attuale sulle fake news . Nella prima parte del suo discorso stavolta ha voluto ribadire alcuni concetti che ha da poco espresso nel libro La furia delle immagini . Una sua tesi fondamentale è che siamo nell'epoca della postfotografia . La postfot

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