Barbie, Oppenheimer, Asteroid City: allarme a Hollywood!
Li ho visti in in sequenza nell'arco di un mesetto e mezzo, grazie ad un fantastico reperto archeologico incredibilmente ancora operante oggi. Una sala cinematografica nel cuore del Parasio, il centro seicentesco di Porto Maurizio (IM), che si chiama Cinema Centrale, proprio come il cinema di Torino, ancora esistente, dove da ragazzo degli anni Settanta andavo a tuffarmi nei film d'essai, persino al mattino, tagliando da scuola. Ricordo ancora l'Andrej Rublëv di Tarkovsky (1966), ben tre ore e mezza che all'epoca erano una rarità assoluta, oppure La montagna sacra di Jodorowsky (1973), una allucinazione non da poco.
Nonostante gli anni siano passati, conservo ancora il gusto per un cinema anche complesso e non proprio digeribile senza sussulti e grida. In questo senso, questi tre film mi hanno ben accontentato, ciascuno a modo suo. Mentre Barbie mi ha suscitato diverse perplessità che ho espresso quattro post fa, Oppenheimer mi ha invece travolto con la forza di un capolavoro visionario. Tra l'altro ho pure avuto la fortuna di vederlo in lingua originale con i sottotitoli, altro piccolo miracolo del Parasio. Christopher Nolan ai miei occhi è ormai diventato il regista vivente che più di ogni altro mi ricorda l'infinito Stanley Kubrick, attenuando almeno per qualche attimo un pochino il dolore cinefilo della sua scomparsa. Non era per nulla facile andare avanti per tre ore senza far addormentare o scappare il pubblico, almeno quello temerario dei quattro gatti presenti, quasi tutti boomer dalla scorza cinematografica bella dura. Il tempo vola nello spazio quantico mentre la vicenda si intreccia al solito modo nolaniano. Un vero piacere che tra l'altro arriva giusto giusto oggi, per farci pensare alle vicende belliche ucraine che di olocausto nucleare portano un sempre più intenso afrore. Infine Wes Anderson con il suo Asteroid City ovvero tutto quello che Barbie poteva essere e non è stato. Colori fantasticamente pop, scenografie finte che più finte non si può, una vicenda del tutto improbabile, senza diventare davvero demenziale come nella migliore tradizione anglossassone. Non si ride quanto si potrebbe perché Anderson tiene il pubblico in tensione con una sceneggiatura continuamente spiazzante, persino brechtiana direi. Gli stessi attori, del calibro di Scarlett Johansson, Tom Hanks e Willem Dafoe, apparso solo in un gustoso cameo, sono schiacciati dentro questa ipotetica cittadina del 1955, metafora di una nazione dalla esagerata autostima postbellica unita alla paranoia comunista, come al solito declinata nella temutissima invasione aliena. L'unico che si muove con una certa disinvoltura è il fotografo (noblesse oblige) di guerra, figura centrale del film. Alla fine è un metafilm sul mestiere del cinema, dallo scriverlo al recitarlo, al viverlo intrecciato al teatro, da cui lo spettacolo cinematografico origina. Insomma, a Hollywood c'è del fermento. Forse sentono aria di fine del loro mondo, almeno così come l'hanno vissuto fin dall'inizio. Forse sono i primi segni del nuovo cinema d'essai in versione blockbuster. In pratica fare soldi a palate mettendo insieme la nicchia dei nerd di tutto il mondo.
Si vedrà, spero ancora per un po' in una sala, come quella del Parasio, che c'ha pure l'intervallo per andare al bar (e non solo).