La fotografia è quella che si fa per forza di levare.
Parafrasando Michelangelo, si può considerare che in essenza il fotografico è un levare. Estendendo il concetto, in realtà lo stesso pensiero critico funziona così. La realtà sensoriale nella quale gli umani vivono non consente altro che di essere vissuta nel proprio tempo biologico, che scorre implacabile dalla culla alla tomba. Per poter intervenire con qualsiasi azione di cambiamento è indispensabile riuscire a isolare dalla totalità gli elementi utili che rivelano le potenzialità necessarie. Con un bagaglio istintuale di specie ridotto all'osso, agli umani non resta che sviluppare proprio il senso critico come strumento di sopravvivenza. La critica è questo: separazione dal tutto e individuazione delle parti fondanti.
Tornando al fotografico, ogni immagine ottenuta con la fotocamera è per sua natura una parte del tutto visibile. Le fotografie non nascono dal nulla, ma prendono tracce ottiche di come la luce visibile dagli occhi umani agisce sulle cose. Sono tracce parziali, un tempo senza colore, poi anche colorate, ma sempre con sistemi industriali che non coincidono mai esattamente con i colori naturali. Poi c'è il fattore tempo, che rimane bloccato, mentre nella realtà scorre senza interruzioni. Le immagini che si ottengono sono quindi del tutto parziali e se non si capisce in che modo operativo lo siano possono portare anche a fraintendimenti, a volte pericolosi o magari persino ridicoli.
In sintesi c'è una parentela più stretta del previsto tra il fotografico e lo scultoreo, almeno con quello che si ottiene lavorando il legno massello o la pietra. In queste azioni si estrae dal tutto una parte che diventa significante.
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