Ferrari secondo Michael Mann.
Visto in una sala con pochissimo pubblico su uno schermo bello grande che dalle prime file ti fa entrare in pieno nelle scene più dinamiche insieme al rombo scatenato dei motori.
Direi un ottimo film, molto aderente alla biografia storica di Enzo Ferrari, ben diretto, sceneggiato e recitato, in specie dalla sempre straordinaria Penélope Cruz - stavolta in una parte complessa e davvero molto difficile - e con un attore protagonista molto ben calato nei panni dell'uomo Ferrari.
Mi pare che l'aver scelto un momento storico preciso, il 1957, quando Ferrari si gioca tutto sulla vittoria di una sua vettura alla Mille Miglia, sia stata una scelta perfetta. Non tanto per raccontare l'incredibile epopea di una vita dedicata alle corse automobilistiche, che avrebbe richiesto intere serie filmiche di ore e ore, tanto è stata densa di avvenimenti eclatanti, ma piuttosto per mettere l'accento su un nodo esistenziale che appartiene ad ogni umano, sul motivo profondo che porta alcuni ad un punto così estremo dal farli danzare sull'abisso della morte, loro e di chi sta loro accanto, con una sorta di feroce, insaziabile, violenta, volontà di vivere alla massima intensità possibile. C'è qualcosa di epico e luciferino insieme. In questo senso, mi pare che Mann, con accenti magari più anglosassoni, abbia disegnato un'epoca storica realmente esistita, ma che oggi può sembrare così lontana da sembrare sognata. Forse però proprio lo spirito del tempo che torna ad avvolgerci, volenti o nolenti, ci riporta a quei momenti, tutti nati dall'avvento delle macchine, dalla velocità assoluta, dal futurismo innanzitutto e contro tutto e tutti. Le promesse di quelle generazioni di uomini duri, forti, persino cinici e anaffettivi, vissuti tra gli Anni Venti e Sessanta, si sono alla fine infrante sull'insostenibilità sociale, economica e ambientale delle loro scelte. Proprio per questo, tornano al cinema questi eroi bellici, sportivi o altri, ma sempre eroi, nell'impossibilità conclamata di poter vivere su un Pianeta che non abbia più bisogno di eroi come loro. Così che tutti noi, si venga distratti ancora una volta dal sogno di ciò che fu e dalle promesse di quanti hanno interesse a farci pensare che possa essere ancora.
Mi pare che l'aver scelto un momento storico preciso, il 1957, quando Ferrari si gioca tutto sulla vittoria di una sua vettura alla Mille Miglia, sia stata una scelta perfetta. Non tanto per raccontare l'incredibile epopea di una vita dedicata alle corse automobilistiche, che avrebbe richiesto intere serie filmiche di ore e ore, tanto è stata densa di avvenimenti eclatanti, ma piuttosto per mettere l'accento su un nodo esistenziale che appartiene ad ogni umano, sul motivo profondo che porta alcuni ad un punto così estremo dal farli danzare sull'abisso della morte, loro e di chi sta loro accanto, con una sorta di feroce, insaziabile, violenta, volontà di vivere alla massima intensità possibile. C'è qualcosa di epico e luciferino insieme. In questo senso, mi pare che Mann, con accenti magari più anglosassoni, abbia disegnato un'epoca storica realmente esistita, ma che oggi può sembrare così lontana da sembrare sognata. Forse però proprio lo spirito del tempo che torna ad avvolgerci, volenti o nolenti, ci riporta a quei momenti, tutti nati dall'avvento delle macchine, dalla velocità assoluta, dal futurismo innanzitutto e contro tutto e tutti. Le promesse di quelle generazioni di uomini duri, forti, persino cinici e anaffettivi, vissuti tra gli Anni Venti e Sessanta, si sono alla fine infrante sull'insostenibilità sociale, economica e ambientale delle loro scelte. Proprio per questo, tornano al cinema questi eroi bellici, sportivi o altri, ma sempre eroi, nell'impossibilità conclamata di poter vivere su un Pianeta che non abbia più bisogno di eroi come loro. Così che tutti noi, si venga distratti ancora una volta dal sogno di ciò che fu e dalle promesse di quanti hanno interesse a farci pensare che possa essere ancora.