L'intelligenza ottica.
C'è un aspetto per me fondamentale nella pratica della fotografia che continua ad essere insostituibile, anche in quest'epoca di intelligenza artificiale applicata alle immagini. Si tratta di un esercizio basilare nella procedura fotografica: l'interposizione di una fotocamera tra il fotografante e ciò che ha identificato come soggetto della sua azione. Se il gesto va a buon fine, ne risulta sempre e invariabilmente un'immagine bidimensionale depositata su una superficie chimica o elettronica per via ottica. Proprio l'azione dell'ottica organizza e compone l'immagine secondo regole fisiche indipendenti dalla volontà umana, tanto che il fenomeno potrebbe esistere, come un arcobaleno per esempio, anche se gli umani non fossero mai comparsi sul pianeta che chiamano Terra. Il trattenimento del fenomeno per renderlo durevole consente poi molti interventi e modifiche, campo nel quale si esercitano le fantasie umane, ma alla base c'è sempre e solo una traccia ottica della luce che illuminava il soggetto durante il tempo di esposizione. Questo semplice fatto fisico è tutto quello che differenzia una fotografia da qualsiasi altra immagine, anche se le assomigliasse in modo indistinguibile, ma che non sia ottenuta per questa via.
Oggi pare che sia solo una questione di lana caprina buona forse per dei boomer un po' nerd come me. Eppure continuo a pensare che una fotografia non sia un'immagine come le altre di ogni epoca passata, presente e futura perché ha la potenzialità, unica, di connettere gli umani direttamente alla loro esperienza esistenziale contingente. Non si fotografano dei volti generici, ma quel volto lì, davanti a te, in quel tempo preciso con quella luce.
Mentre le altre immagini possono portarti fuori dalla tua vita, nel mondo dei sogni, la fotografia può essere un'ancora che ti trattiene qui e ora e te lo ricorda dopo, nel tempo. A meno che non si faccia di tutto per ridurla ad un'immagine come qualsiasi altra, non importa come ottenuta.