Non sono solo canzonette.

Ebbene sì. Ho visto Sanremo, dirò di più, negli ultimi anni lo vedo spesso. Temo sia uno dei segni della mia senescenza perché da giovane ed adulto me ne tenevo alla larga, un po' schifato dall'insieme.

Questa 73esima edizione è stata però, a mio avviso, molto particolare per diversi motivi.

Innanzitutto la presenza del Capo dello Stato, omaggiato dalla benignata sulla Costituzione. Sanremo si erge così ad ultimo baluardo della Repubblica nata dalla Resistenza. La RAI come trincea definitiva dei valori sacri, e anche pedagogici, del mitico Arco Costituzionale, come Ettore Bernabei insegnava. Per chi sta fuori restano le televisioni commerciali, La7 esclusa, e se ne facciano una ragione.

In questo senso, dal settembre scorso il primo vero vagito di un'opposizione al governo attuale si è sentito proprio lì, a Sanremo. Se si votasse oggi per l'elezione diretta del successore di Mattarella, Gianni Morandi verrebbe eletto con un plebiscito festante ed un suo mandato di formare il governo ad Amadeus sarebbe accolto tra il tripudio delle masse.

Sembra uno scherzo, ma questa Sanremo di Amadeus è la rappresentazione plastica di quello che un serio partito maggioritario di sinistra dovrebbe saper fare: far sentire tutti gli italiani parte di un'unica famiglia umana, dai nonni fino all'ultimo nato dei nipoti, tutti uniti dal piacere di vivere insieme senza aver mai paura di ciò che sembra diverso, estremo, fuori luogo. Un capolavoro sociale che lo stesso Gramsci penso proprio auspicasse, con la sua mai ben compresa nozione di nazional-popolare, e che il vecchio PCI e la vecchia DC riuscirono ad inverare per decenni.

La canzone leggera, a volta anche leggerissima, contiene l'anima profonda della cultura italiana. All'estero questo è ben compreso e ampiamente riconosciuto. Ogni argomento, ogni tema, anche i più scabrosi, se ben cantati da interpreti credibili vengono digeriti ed assimilati senza alcun problema, senza differenze regionali, di istruzione o classe sociale. L'unità della nazione si ottiene così. I critici, coloro che trovano inadeguati il contesto ed il modo di presentare la realtà, sono una minoranza, e sempre lo saranno, perché gli strumenti intellettuali sono destinati a pochi. Ci vuole predisposizione e talento, come per cantare d'altronde. L'istruzione scolastica può aiutare, ma se non si è portati, non si fanno veramente passi avanti. Quindi per tenere tutti insieme e uniti, serve un collante alla portata di chiunque. Le "canzonette" questo miracolo riescono ad ottenerlo.

Per cinque giorni gli italiani stanno insieme, almeno una loro grande parte, maggioritaria. Discutono, ridono, scherzano, uniti. E si riconoscono l'un l'altro. Vasto programma sarebbe se un partito politico, un movimento, davvero di sinistra, o almeno civile e progressista, riuscisse a fare questo. Senza campare di veleni e paure, spesso inoculate a freddo. Temo invece che finché dura, fino a che la dirigenza RAI non verrà cacciata, e con essa Amadeus, assisteremo per cinque giorni all'anno ad un'Italia certo ignorante, cafona, sgangherata, tutto quello che si vuole, ma molto, molto migliore di quella che esce dalle urne ultimamente. 

Infine un solo cenno alla questione femminile. Sanremo, e quindi l'Italia profonda, direi cattolica, si conferma sessista, nonostante le tiritere di Chiara Ferragni. In finale vanno gli uomini, le donne, compresa la Ferragni, sono usate per decorare il palcoscenico con la loro personalità, gli abiti di alta moda e la bellezza. Quando poi fossero cantanti eccezionali, come Giorgia (6ª), Madame (7ª) o Elodie (9ª) rimangono fuori dalla Top Five. Questo è però il Paese, questa è l'Italia maggioritaria che esiste. Non è poca cosa riuscire a portarla verso un mondo migliore, senza lasciare nessuno indietro.

Ora arriva la parte più bella per me. Il Festival è finito, ma rimangono vive le canzoni, di ogni Sanremo, e  me le godrò canticchiandole, ovunque mi capiti, ogni volta che vorrò.

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