Il fiore del partigiano.

Ho conosciuto un uomo che quand'era ancora un ragazzo (classe 1926), da anni orfano di entrambi i genitori, salì in montagna con i partigiani della 36esima Brigata Garibaldi "Bianconcini" e si trovò a combattere nella durissima Battaglia di Purocielo (10-12 ottobre 1944) nella zona di Cà di Malanca. Scampato alla morte, si rifugiò oltre le linee alleate. Non fu un caso che avesse scelto di rischiare la vita proprio dalla parte giusta. Già era una persona che amava la libertà. Non avrebbe mai per tutta la sua lunga vita non solo fatto male ad una mosca, ma nemmeno impedito a nessuno di vivere come riteneva meglio per se stesso. Verso i figli, una femmina e 3 maschi, si comportò sempre con amore, seguendoli e aiutandoli con tutto se stesso. Amò anche i nipoti che arrivavano, sempre disponibile e sorridente.

Era una persona buona alla quale era facile affezionarsi e così capitò anche a me. Il nostro non fu mai un rapporto tra suocero e genero, ma da "commilitoni" di generazioni diverse che condividevano lo stesso amore per la libertà. Forse proprio per questo, parlò solo con me della sua storia partigiana e grazie ai suoi ormai sbiaditi  ricordi riuscii a riscoprire sulla rete quei luoghi e ad accompagnarcelo in un giorno di festa partigiana. Mai una volta c'è stato tra noi il benché minimo screzio, sebbene discutessimo anche animatamente di politica. C'era persino il piacere, il gusto, dell'attesa di potersi ritrovare a discutere. Insomma ho conosciuto uno degli uomini a cui devo il fatto di essere nato in una Repubblica che pur con tutti i suoi, anche enormi, difetti mi consente ancora comunque di pensare ed agire da cittadino di uno stato di diritto.
La sua missione è finita, l'altro giorno. Mi rimane la sua lezione più bella perché non detta, ma vissuta: nella vita tutto ciò che c'è di buono viene dall'amore unito alla libertà. Grazie Dino.


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