Fotografie e virus.
Mi sono imbattuto in un post pubblico su Facebook di un professionista del settore fotografico che si rivolgeva agli "eroi fotografi", dei quali affermava non si sentisse il bisogno. Le foto alle città vuote le avrebbero potute fare in futuro, svegliandosi presto al mattino. Ora stessero a casa.
La cosa mi ha fatto infuriare. Capisco che chi non prende fotografie, o lo fa senza sapere come e perché, possa lasciarsi andare ad affermazioni così generiche e pericolose. Non lo capisco per niente, e non lo ammetto, da parte di chi è del settore e campa pure sul lavoro di altri fotografi. Dovrebbe almeno fare un lavoro ben diverso.
Uscendo dal caso specifico, noto un montare progressivo di intolleranza verso la pratica fotografica in esterni. Accampando la pretesa del restare a casa invece di girovagare con una fotocamera in mano, in realtà si colpisce l'ennesima categoria di untori. Prima erano i migranti, poi sono diventati i runners e adesso anche i fotografi sono nel mirino. A Torino, oggi, ieri per chi mi legge, è stato aggredito un fotografo che lavorava per una testata giornalistica e che documentava la situazione dei mercati rionali. Gli aggressori erano mercatari e hanno persino costretto il fotografo a consegnare la scheda di memoria che hanno distrutto.
Non esiste alcuna evidenza o fatto che riconduca al prendere fotografie in strada come fonte di contagio. Se la pratica viene svolta nel rispetto delle ordinanze, dei decreti e delle leggi non è mai vietata e nessuno è autorizzato ad impedirla o a sequestrare i supporti con le fotografie, non possono farlo nemmeno le forze dell'ordine, senza un mandato. Così come non ci sono prove di contagi da migranti o runners.
Restare a casa, e, vorrei essere chiaro, io ci ci sto restando persino da ben prima delle ordinanze perché già intuivo che le cose non andassero per il verso giusto, non può essere l'alibi per impedire pratiche garantite dalla Costituzione. Fotografare, come scrivere, parlare, ecc. è prima di tutto espressione della persona umana. L'allontanamento sociale e il confinamento in casa servono per contenere la pandemia entro livelli di aggressività che ne permettano la cura e il sostegno dei casi più gravi. Fotografare non è un pericolo in questo senso se viene fatto rispettando i comportamenti indicati dalle autorità.
Segnare il fotografo in quanto tale come fonte di contagio è l'ennesima azione di distrazione di massa. Sono le uscite non autorizzate, gli assembramenti, le occasioni ripetute d'incontro, i contatti ravvicinati sui mezzi, sul lavoro nei centri commerciali, la mancanza di igiene personale e degli ambienti, le cause che hanno già fatto esplodere il contagio e lo protrarranno se non si pone rimedio drastico.
Quindi, i fotografi stiano a casa e posino la fotocamera. Si tratta di "attività non essenziale". Allora anche parlare non è essenziale, scrivere, disegnare, muoversi non sono attività essenziali. Vivere non è un'attività essenziale.
Il confinamento e l'allontanamento sociale, le uniche armi che abbiamo per resistere al virus, generano purtroppo mostri. Frustrazioni tipiche di chi viene carcerato e non tollera che altri sembrino esserlo meno o per niente. Questo tipo di virus non scomparirà tanto facilmente perché circolava già da troppi anni in troppe persone. Si nascondeva dietro il relativo benessere e mano a mano che questo benessere cede, fino oggi ad essere minacciato seriamente a livello globale nella parte più affluente del pianeta senza distinzione di età, ceto e condizione economica, ecco che disvela tutta la sua mortifera aggressività.
Mancano le mascherine, mancano i guanti, mancano le analisi dei tamponi per i sanitari, la nostra prima linea, e per le persone che supportano la vita in questi momenti difficili. Mancano macchinari, mancano luoghi di cura attrezzati, manca di tutto, ma il vero problema è che un fotografo non resta a casa. Fotografa ancora. Maledetto lui.
Forse si prepara un mondo che non avrà più bisogno di fotografie prese direttamente davanti ai fenomeni e gli eventi. Basteranno infografiche e immagini "fotorealistiche" oppure ci penseranno i droni. Forse. Certo gli umani dovranno decidere presto che vita si debba poter fare. La fotografia fa parte di una vita libera e sana e deve continuare ad essere così.
Ah, in ultimo: "ma se tutti fossero in giro a prendere fotografie il contagio andrebbe fuori controllo". Non ho notizie di assembramenti di fotografi che abbiano dato origine a focolai. Ho sentito di manager, di vecchi che giocavano a carte nei circoli, di tifosi sugli spalti, di gente ai concerti, al mare e a sciare, di centri commerciali strapieni, di feste, di aperitivi, di lavoratori in fabbrica, negli uffici, di case di riposo, di sanitari sul fronte. Non vorrei che la cattiva coscienza di chi se la rideva, o la disgrazia di chi era obbligato a rinunciare alle misure di sicurezza, cerchino sfoghi facili e vili. Un fotografo chi lo difende? Tutti sono capaci a fotografare, mica è un mestiere, è un divertimento come altri a cui si può rinunciare senza problemi. Sì, magari per voi è così, per me no.