Da emigranti a migranti.


Mauro Raffini lo conosco da tanti anni, non abbastanza però. Sapevo che era un ottimo fotografo, una gran brava persona e che era piemontese DOC, con tutto quello che ne segue sulla mitica riservatezza sabauda, identica a quello che in un paese neoextracomunitario come la Gran Bretagna chiamano under statement. Proprio a causa di questo basso profilo, tenuto come un'ultima trincea sull'Assietta, non immaginavo cosa aspettava mia moglie e me ieri sera.


Siamo andati a vedere l'inaugurazione di un amico e siamo invece finiti nel paese di Alice. L'ingresso sembrava uno scherzo a parte. In una vietta vicino al Municipio, nessuna vetrina illuminata, niente ressa all'esterno dei soliti inaugurazionisti proseccanti, ma solo una porticina con un citofono. L'inquietudine assale. Ci guardiamo attorno, ma di bulli in cerca di spacciatori non se ne vedono. Suoniamo quindi al campanello "Casa Giglio". Al "chi è?" metto su una voce giandujotta e chiedo subito scusa del disturbo... "ma avevamo sentito dire che c'era una mostra e ci siamo osati... ". "Apro la porta, prendete l'ascensore e venite al quarto piano". Ci siamo guardati. Magari qui spacciano davvero...


Difatti era così. Ieri sera insieme a tante altre brave persone (qui a Torino, "brava persona" vuol dire gentile, onesta, modesta e disponibile verso il prossimo, che non significa simpatica, calorosa e sbracciante, non sia mai), ci hanno spacciato un'altra Italia possibile. Mauro Raffini, rispondendo all'appello dell'Associazione Multiculturale Mediatori Interculturali – A.M.M.I., ha presentato alcune stampe delle fotografie che scattava quando aveva i suoi vent'anni, uscendo di casa e mescolandosi allo tsunami che stava iniziando a trasformare Torino in una città davvero italiana. Ondate di veneti e meridionali arrivavano con i treni a fornire la manodopera di cui Gioanin Lamiera aveva bisogno per inondare a sua volta tutti di utilitarie a costi accessibili.


Sono immagini documentarie fatte da dentro, come sempre le migliori. Ho rivisto compagni di classe delle elementari, delle medie, delle superiori, insomma persone del tutto simili ai compagni di vita con cui si passava dall' "Oh basta là!" al "minkiaziofa" in due secondi. Io, figlio di veneti immigrati, nato a Torino in mezzo a tutti gli altri. Non so com'era Torino prima, ma so come è stata per tutta la mia vita. Come è oggi si inizia a vedere nelle ultime immagini di Mauro, dei ritratti  a colori dei nuovi immigrati, che oggi vengono chiamati "migranti", forse perché vengono qui, ma non tutti vorranno restare qui per sempre, e perciò non sono stanziali, ma "in movimento".


C'è molto lavoro da fare, alcune persone, sempre troppo poche, lo fanno. Mauro è vicino a loro, da autentico fotografo sensibile alle persone e alla loro vita, specie se difficile e soggetta a troppe ingiustizie. Le sue fotografie sono nello stile che si è visto tante volte, quel reportage in bianco e nero con uso frequente del grandangolo che ti porta dentro la scena. Se però vivevi anche tu in quel periodo, non puoi rimanere indifferente, ti portano dentro davvero, ritrovi i tuoi anni e forse faranno sentire qualcosa anche a chi non c'era, non era ancora nato e si domanda come minchia poteva essere Torino così tanti anni fa. Speriamo proprio che le cose alla fine vadano dove vuole portarle il cuore e la mente che abbiamo visto pulsare ieri sera. Mauro ci crede e noi con lui.



MIGREYE
Fotografie di Mauro Raffini

Fino al 20 febbraio 2020

Orari.
Lunedì, Mercoledì, Venerdì, dalle 8 alle 18.
Martedì, dalle 14 alle 18.
Giovedì, dalle 8 alle 13.

Casa Giglio
Via Cappel Verde 2, Torino.




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