Il fotografico di Enrico Peyrot.


Ieri sera, nell'ambito del ciclo di eventi #HangarXFo.To a cura di Daniela Giordi, il fotografo Enrico Peyrot ha presentato una summa della sua lunga attività autoriale a partire dagli anni Settanta.

Di particolare interesse è stato il racconto dell'autocostruzione dei suoi speciali banchi ottici d'alta montagna. L'approccio al fotografico di Peyrot poggia difatti le basi sul concetto, per me assolutamente valido, dell'iconografia tecnica già insita nell'immagine fotografica.

Diversamente da altre forme visive, come quelle tradizionali pittoriche, una fotografia possiede un proprio stile nativo dato direttamente dal congegno e quindi fuori dalla disponibilità del fotografo. La figura autoriale viene per questo motivo a configurarsi in forma registica. Il controllo di ogni parte della produzione fotografica, dalla predisposizione della fotocamera, passando per la ripresa e infine arrivando alla realizzazione oggettuale della stampa finale, è l'unico approccio possibile per dare un'impronta personale all'immagine, sapendo però che sarà sempre un risultato vincolato da limiti invalicabili e precedenti alle scelte operative.

Le leggi dell'ottica, per esempio, definiscono quello che si può fare e non si può fare. Così come la contingenza del trovarsi per forza in un dato luogo e in un preciso momento di fronte al soggetto, con il quale poi va stabilita una relazione di qualche natura, pena l'impossibilità di prendere la fotografia. Oppure la stessa tipologia di materiali di stampa, con le loro caratteristiche ben delimitate, che circoscrivono le scelte operative, mai infinite.

In sintesi, Peyrot rivela una consapevolezza rara che la mediazione fotografica dell'esperienza percettiva è un percorso molto complesso il cui unico scopo possibile è l'ottenimento di un'immagine. La più pervasiva a disposizione dell'umanità, proprio per la sua irriducibile iconografia tecnica, che la rende indomabile al completo controllo umano.



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