Il teatro del nostro sentire.
©Sergio Creazzo. |
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Il teatro del nostro sentire
La vicenda di questa pubblicazione è strettamente intrecciata con l'incontro di quattro esistenze e un territorio. Scrivo quattro perché pur non avendo preso alcuna fotografia in Liguria ho assolto al compito di coordinare e condurre in porto l'iniziativa sotto il profilo iconografico, quello che più mi sta a cuore e sul quale forse meglio posso contribuire in positivo all'opera collettiva di persone che in vario modo conoscevo da prima di questo progetto.
La cura, perché di questo si è trattato, ha preso da subito la direzione di una messa in valore dell'espressività che motivava ciascuno degli autori. Il primo elemento discriminante preso in considerazione nella valutazione del materiale prodotto è stato quindi quello dell'autenticità autobiografica. In questo senso, va rilevato che nessuno dei tre autori è originario della Liguria, ma con questa terra hanno tutti intrecciato il loro vivere in vario modo.
Sergio Creazzo vi soggiorna da sempre per recuperare le energie spese nella sua vita lavorativa torinese. Gaetano Paraggio ha seguito sue vicende personali che qui lo hanno portato a più riprese dalla provincia di Salerno dove vive. Roberto Bianchi, di radici toscanissime, risiede a Sanremo dove conduce da decenni la sua vita familiare e professionale.
La necessità, il bisogno, di osservare nei luoghi ciò che vi si può percepire origina anche da un istinto insopprimibile di farli propri, di assimilarli con pazienza e volontà all'ambito di ciò che ci appartiene. Un'indagine visiva che ricostruisca attraverso l'analisi fotografica i tasselli del proprio universo, anche affettivo, qui, ora. Rispecchiarsi per riconoscersi.
Arrivando da un altrove ciò che attira l'attenzione è diverso da quello che forse può interessare chi in Liguria ci sia nato e vissuto magari in famiglie autoctone da generazioni. Difatti Sergio Creazzo si sofferma nella parte orientata all'accoglienza del turista, all'allestimento di quella cosa che chiamiamo "vacanza al mare" e ne riporta frammenti di strutture e ambienti pensati per un godimento transitorio, stagionale. Per farlo, sceglie di aggirarsi fuori stagione o comunque in quelle pause silenziose durante le quali le figure umane sembrano disperse e occasionali. La luce morbida e calda che avvolge le cose riesce a descrivere con precisione e nel contempo a evocare una dimensione mentale, intima. Un ripensare nel tempo per meglio comprendere.
Come per gli altri due autori, la scelta di un approccio lento, meditato, contemplativo e rispettoso delle regole prospettiche e ottiche, consente a chiunque di poter abitare queste immagini mediate sì dalla soggettività, ma ancora vicine, ancora in relazione diretta con i soggetti da cui originano. Una Liguria quindi disponibile ad essere ritrovata in immagine per poi essere riscoperta di persona, seguendo l'indicazione sul terreno, e infine discostarsene verso la propria esperienza dei luoghi.
In questo senso, Gaetano Paraggio percorre anch'esso in gran parte la zona vicina al mare, ma con una più acuta attenzione verso gli aspetti urbanistici e storici già sperimentati nei luoghi di mare d'origine. Un distacco erede dell'approccio topografico statunitense degli anni Settanta, per il quale ogni elemento visibile è interessante nella sua relazione con gli altri, in modo "democratico", senza gerarchie di valore simbolico precostituite a priori. L'impassibilità metodica e la disposizione ad una notevole produttività, quasi un rilevamento indifferenziato ed ossessivo, se pongono maggiori difficoltà nella fase di selezione successiva alle riprese, consentono tuttavia di isolare aspetti altrimenti insondabili rendendoli percepibili ed esperibili. La stessa scelta di luci diurne ordinarie, per quanto curate ed attente, aumenta l'effetto di immersione nel quotidiano banale, dove lo straordinario emerge per successive stratificazioni analitiche.
In ultimo l'approccio di Roberto Bianchi, autore con il quale ho avuto l'onore e il piacere di impostare un suo percorso di crescita autoriale all'interno del quale molti degli spunti maturati in questa serie ligure hanno trovato l'avvio germinale, ci porta su un terreno più variegato che si affaccia anche verso un entroterra particolarmente addensato di contraddizioni e segni paradossali. Il suo è un percorso più ostico di primo acchito, ma assolutamente essenziale per dare un approfondimento ulteriore al lavoro dei suoi compagni di viaggio. Nello svolgersi dell'attraversamento dei luoghi in Bianchi riecheggia il paradigma, direi quasi genetico, della sua Toscana. Le asprezze e gli scarti di senso che qui ritrova con facilità, partono da certe armonie, proporzioni, dolcezze persino, che l'orografia del centro d'Italia disperde a piene mani nelle coscienze dei suoi abitanti. Segni interrotti, spazi marginali, ironie involontarie in parte feriscono la sua consapevolezza e in parte ne riscattano il senso e la presenza attiva. Sembra indicarci i margini del progressivo sfaldamento non per denunciarne l'ineluttabilità, ma anzi nella fiducia che portandoli in immagine sia possibile iniziare a pensarne una possibile ricucitura, anche solo concettuale.
L'insieme del progetto, declinato nelle tre soluzioni autoriali, propone a chi vorrà percorrerne le strade indicate un'alternativa contemporanea alle diffuse iconografie celebrative che finiscono per nascondere sotto le loro luccicanti promesse promozionali qualcosa di più autentico e per questo meno perfetto, ma più vitale. Un teatro sì, ma costruito per recuperare sensibilità e attenzione. Il teatro del nostro sentire.
Fulvio Bortolozzo
Torino, 7 dicembre 2016.
English version
The Theatre of Our Senses
The creation of this book can be best described as the coming together of four beings and a territory. I say four, because while I did not take any photographs in Liguria, I undertook the coordination and production of this project, a work which is close to my heart and perhaps is the most positive contribution I could make to the collective work of these people who, in one way or another, I knew before this project began.
The curation immediately took form as a means to bring to light the expressivity behind each one of the artist’s works. Thus the first aspect taken into consideration as the works were chosen was the evaluation of their autobiographical authenticity. It should, therefore, be specified that while none of the three authors actually hails from Liguria, each of them has in some way incorporated something of this land into their life.
Sergio Creazzo has long chosen Liguria as a refuge from his busy work life in Turin; Gaetano Paraggio’s personal ties were the impetus for his visits from his home near Salerno; and Roberto Bianchi, albeit fiercely Tuscan, has lived and worked in Sanremo for decades.
The drive, the urge to deconstruct or analyze a place finds its origin in the overwhelming desire to make that which is observed become our own, to painstakingly and willingly assimilate it. It is a visual investigation, recomposing by means of photography the puzzle pieces of one’s unique, highly personal universe at this moment in time. Self-reflection as a means of knowing oneself.
An outsider inevitably finds significance in details that are often different from those of a person who was born in Liguria, who perhaps is one of many generations of Liguri. Sergio Creazzo, for example, focuses his attention on the tourist's world, of everything that supports the “beachside vacation,” revealing details of structures and locations that speak of seasonal and temporary enjoyment. He intentionally explores these places during the off-season or depicts those quiet moments when the human presence seems lost or fleeting. The soft, warm light that surrounds his subjects enhances their presence while simultaneously evoking a psychological and intimate dimension. It is a rethinking across time as a means of reaching a greater understanding.
We find in the work of all three photographers a slow, meditative approach, one which is contemplative and respectful of the rules of perspective and optics. The resulting images are ones that the average person can imagine themselves a part of, in which they perceive the author's subjectivity whilst maintaining a direct relationship with the subjects portrayed. The Liguria portrayed here is first revealed as images to the viewer; he or she can then experience it in person, articulating his or her own unique personal experience.
Gaetano Paraggio similarly depicts the area along the sea but with perhaps a closer attention to urbanistic and historical details, similar to the approach he has taken in his hometown. This detachment bears similarity to the topographic approach seen in the United States in the seventies, where each visual element is important for its relationship to the others around it, in a so-called democratic fashion, free of hierarchies of preconceived symbolic meanings. This methodic reservedness combined with an exceptional prolificacy, almost indifferentiable and obsessive, while does in fact complicate things when the time comes to edit and choose, makes it possible to isolate certain aspects which would likely be unfathomable, drawing them to one's attention. Even the use of ordinary daylight, however precise and refined it may be, increases the effect of an immersion in ordinary daily life, where the extraordinary is revealed, lending itself to multiple interpretations.
And finally, Roberto Bianchi, a photographer with whom I have had the honor and great pleasure of providing input into his growth and development, from which many of the ideas matured in this Ligurian series got their start. His work takes us to a more varied terrain, one which also casts an eye towards the inland, an area particularly rich in contradictions and paradoxes. His journey seems at first glance a tougher one, but it is absolutely necessary if he is to provide a deeper look at the work of his travel companions. As Bianchi explores these lands, his work echoes the paradigm (perhaps it is genetically embedded) of his homeland Tuscany. He finds a harshness and strangeness that begs to be compared to the harmony, proportionality, even softness, of central Italy's landscape, impressions that remain in its inhabitants subconscious. Interrupted signs, marginal spaces, involuntary ironies: at times painful in their awareness while at other moments they evoke sensations and a feeling of presence. They seem to denounce a developing rupture and the aim is not to accept its inevitability but rather a belief that by presenting these images a repair is possible, even if only conceptually.
This project, in the work of its three authors, offers a unique and contemporary perspective, one which contrasts with the usual celebratory iconography. Beyond the flashy promotional promises one finds a voice that is more authentic, less slick perhaps, but certainly more vivid. A theatre perhaps yes, but one that serves to resuscitate our sensitivity and attention. The theatre of our senses.
Fulvio Bortolozzo
Turin, 7 December 2016.