Coppel migliora la tua vita.
Coppel è un'azienda commerciale messicana con centinaia di punti vendita. Smerciano abbigliamento uomo e donna, scarpe, prodotti elettronici, smartphone, fotocamere e tanta altra roba a prezzi competitivi, pure con finanziamenti un po' a chiunque e persino con la consegna a domicilio gratuita. Ha filiali anche in Brasile e Argentina. Il loro slogan è "Coppel mejora tu vida" (Coppel migliora la tua vita). Una specie di ipermercato dei balocchi insomma, uno dei tanti della globalizzazione contemporanea.
In pratica i loro profitti arrivano dalle masse di consumanti (ché ormai la definizione di consumatori è troppo nobile) i quali ogni giorno si indebitano pur di abbuffarsi dell'indispensabile inutile in cui stiamo tutti annegando tra la nascita e la morte.
Da questo letame (cit. Fabrizio De André) Isabel e Agustín Coppel riescono comunque a far nascere il fiore di una collezione di fotografia davvero impressionante. Dal 1990 per tramite della CIAC un'associazione senza fine di lucro (sic) iniziano collezionare i nomi più eclatanti della fotografia nazionale ed internazionale seguendo il loro gusto privato. Con un occhio ai vantaggi fiscali e uno al portafoglio, la loro collezione ormai è di ampiezza e qualità museali. Come tale diventa volano di nuovi business anche intercontinentali.
Ecco forse spiegato come sia stato possibile che proprio a Torino, proprio alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, sia caduta la cometa Coppel, con la mostra Life World, inaugurata ieri sera e visitabile fino al 30 aprile prossimo. Si tratta di una selezione di una novantina di autori che spaziano per tutto il Novecento e oltre, da nomi sconosciuti o poco conosciuti fuori dal Sudamerica, fino alle più grandi celebrità del firmamento fotografico internazionale, con una spolveratina curatoriale giusto per levare il sapore di autoreferenzialità estetica che ogni collezione privata porta in se stessa.
L'effetto della serata inaugurale sugli appassionati come me è stato travolgente. Sembrava proprio di entrare nell'ipermercato dei sogni. Non sapevo più dove guardare. Tanta roba, tantissima roba. Una lunga sosta idolatrante davanti a due Lee Friedlander della serie dei televisori. Emozioni forti trattenute a stento davanti a Walker Evans, Stephen Shore, William Eggleston, i coniugi Becher, Thomas Struth e praticamente quasi tutti i grandissimi di cui mi sono occupato nei seminari degli ultimi due anni. Una mostra con delle assenze, con dei pezzi magari non tra i migliori nella produzione dei singoli autori, ma certamente talmente enciclopedica da permettere rinnovate visite con spunti di riflessione, e didattici, sempre diversi.
Non c'è che dire. Alla Sandretto va in scena per un paio di mesi la grande fotografia legata all'arte moderna e contemporanea. Qualcosa che qui a Torino manca in una sede permanente e di cui si avrebbe enorme bisogno. Purtroppo le sedi istituzionali più pertinenti o tengono i loro fondi in cantina, come fa la GAM con ciò che resta della infelice Fondazione Italiana per la Fotografia di Luisella D'Alessandro, o non li hanno proprio, come Camera - Centro Italiano per la Fotografia. Paghiamo da decenni il prezzo di non aver voluto semplicemente imitare l'esempio virtuoso del MoMA e del suo Dipartimento di Fotografia, che dal 1940 sostiene, e persino con i suoi geniali direttori inventa, la storia della fotografia internazionale, ovviamente con un occhio di riguardo a quella statunitense.
Per ora quindi: Que viva Mexico!