Tutto molto interessante.
Nel fluire contemporaneo delle immagini, i riferimenti trasversali annullano le gerarchie, i generi e le suddivisioni tradizionali.
La rivoluzione "iconocratica", che inizia nel 1839 con l'invenzione della fotografia, prende il sopravvento con l'espandersi dei mezzi di comunicazione a base visiva i quali si alimentano sempre più di icone fatte a macchina ottica.
Dalle fotografie su carta, alle riviste illustrate, ai fotolibri, in un crescendo che con l'avvento del cinema sonoro (1927) aprirà le porte alla comunicazione audiovisiva di massa, divenuta poi televisiva ed oggi sempre più diffusa grazie a Internet. L'ultima barriera, quella tra produzione e diffusione si abbatte proprio sulla rete.
Si spiegano anche così fenomeni come quello di Fabio Rovazzi, classe 1994, milanese che raggiunge milioni di contatti con i suoi video musicali pur dichiarando di non essere un cantante, ma solo un giovane che ama divertirsi e far divertire con i video. Tutto molto interessante, perché nella società fluida gli steccati di genere non arginano più le piene alluvionali e non incanalano più niente. Conta solo il risultato che c'è (spacca) o non c'e (rompe le palle). Il tutto condito dalla frenesia un po' nevrotica dell'azzeramento della soglia di attenzione e dell'evitare come la peste il ripetersi nel tempo di ciò che già si è esperito, ripetizione vissuta come noia, da combattere con il succedersi di novità a tambur battente.
Dalla Pop Art in avanti, a dare le carte del gioco visivo e audiovisivo non è più solo l'ambito canonico dell'arte moderna e/o contemporanea, oggi grandemente minoritario, ma qualsiasi produzione di qualsiasi tipo purché in grado di ottenere l'attenzione degli umani. E questo è qualcosa da analizzare perché fa salire l'andiamo a comandare, cioè un latente spostamento culturale giovanile verso straordinarie forme inedite che però potrebbero scivolare verso un neofascismo autoreferenziale, per usare vocaboli desueti in assenza di quelli nuovi ancora da elaborare. Insomma: io sono io e voi siete me, o lo vorreste tanto.
La rivoluzione "iconocratica", che inizia nel 1839 con l'invenzione della fotografia, prende il sopravvento con l'espandersi dei mezzi di comunicazione a base visiva i quali si alimentano sempre più di icone fatte a macchina ottica.
Dalle fotografie su carta, alle riviste illustrate, ai fotolibri, in un crescendo che con l'avvento del cinema sonoro (1927) aprirà le porte alla comunicazione audiovisiva di massa, divenuta poi televisiva ed oggi sempre più diffusa grazie a Internet. L'ultima barriera, quella tra produzione e diffusione si abbatte proprio sulla rete.
Si spiegano anche così fenomeni come quello di Fabio Rovazzi, classe 1994, milanese che raggiunge milioni di contatti con i suoi video musicali pur dichiarando di non essere un cantante, ma solo un giovane che ama divertirsi e far divertire con i video. Tutto molto interessante, perché nella società fluida gli steccati di genere non arginano più le piene alluvionali e non incanalano più niente. Conta solo il risultato che c'è (spacca) o non c'e (rompe le palle). Il tutto condito dalla frenesia un po' nevrotica dell'azzeramento della soglia di attenzione e dell'evitare come la peste il ripetersi nel tempo di ciò che già si è esperito, ripetizione vissuta come noia, da combattere con il succedersi di novità a tambur battente.
Dalla Pop Art in avanti, a dare le carte del gioco visivo e audiovisivo non è più solo l'ambito canonico dell'arte moderna e/o contemporanea, oggi grandemente minoritario, ma qualsiasi produzione di qualsiasi tipo purché in grado di ottenere l'attenzione degli umani. E questo è qualcosa da analizzare perché fa salire l'andiamo a comandare, cioè un latente spostamento culturale giovanile verso straordinarie forme inedite che però potrebbero scivolare verso un neofascismo autoreferenziale, per usare vocaboli desueti in assenza di quelli nuovi ancora da elaborare. Insomma: io sono io e voi siete me, o lo vorreste tanto.