Un qualunque Midwest planetario.
A fronte della scomparsa di centinaia di persone nel sisma di Amatrice e dintorni, e superata l'emergenza dolorosa di questi tragici giorni, si porrà il problema di come e cosa fare per l'area quasi del tutto rasa al suolo o comunque resa inagibile.
A questo proposito, mi si affacciano alla mente alcune considerazioni storiche. La prima è che la Amatrice oggi devastata era quella che venne ricostruita dopo il sisma dell'ottobre del 1639. Quindi furono le energie artistiche del secolo barocco a presentare di nuovo al mondo un paese che viveva ancora oggi soprattutto del turismo fondato sul suo fascino paesaggistico e urbanistico. Non ci fu mera ricostruzione di abitazioni, ma si riuscì a ricostruire della bellezza in grado di suscitare interesse anche nei secoli successivi.
L'altro esempio, che ho potuto vedere di recente è Noto, nel siracusano. Lì, ciò che il sisma aveva cancellato fu l'origine di una potente sfida artistica al destino mortifero. Oggi Noto rappresenta un esempio, con altri luoghi ricostruiti sempre in quei secoli, di come risorgere, almeno in Italia, non significhi solo mettersi un nuovo tetto sopra la testa, ma rinnovare, e se possibile meglio di prima, la straordinarietà del privilegio di vivere circondati da quanto di eccellente seppero donare le generazioni di artisti che qui operarono, non importa da dove giunti.
Infine un esempio negativo nel trapanese: Gibellina nuova. Una sconfitta del Novecento. Stringe il cuore aggirarsi per gli spazi dilatati e maltenuti di questa "new town" dove la bellezza si riduce ad episodi marginali, con tutta la buona volontà di trovarli, e per il resto l'estetica della periferia indifferenziata corrode il paesaggio trasformato in un anonimo west de noantri. Lì a Gibellina nuova si consuma la parentesi drammatica del modernismo artistico internazionale, incapace di portare oltre quanto di meglio venne fatto nei secoli precedenti, ma solo di negarlo. Un Sessantotto dell'arte, con tutte le sue conseguenza nefaste già viste nella società e nella cultura contemporanea. Non a caso l'unica opera davvero degna nata su quel sisma del Belice è nella sede originaria di Gibellina, molti chilometri più a monte. Non a caso, lì Burri, con il suo Cretto, ha potuto darci la pietra tombale non solo di Gibellina, ma dell'arte moderna tutta nel suo confronto con il paesaggio, l'architettura e la bellezza.
Oggi non si tratta quindi solo di ricostruire case che non cadano più così facilmente sotto le scosse di un terremoto, ma di rinnovare la bellezza, come urgenza vitale, con nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi pensieri. Una bellezza degli anni Duemila che sappia ereditare dal passato un orgoglio perduto per il privilegio di abitare in Italia, e non in un qualunque Midwest planetario.
A questo proposito, mi si affacciano alla mente alcune considerazioni storiche. La prima è che la Amatrice oggi devastata era quella che venne ricostruita dopo il sisma dell'ottobre del 1639. Quindi furono le energie artistiche del secolo barocco a presentare di nuovo al mondo un paese che viveva ancora oggi soprattutto del turismo fondato sul suo fascino paesaggistico e urbanistico. Non ci fu mera ricostruzione di abitazioni, ma si riuscì a ricostruire della bellezza in grado di suscitare interesse anche nei secoli successivi.
L'altro esempio, che ho potuto vedere di recente è Noto, nel siracusano. Lì, ciò che il sisma aveva cancellato fu l'origine di una potente sfida artistica al destino mortifero. Oggi Noto rappresenta un esempio, con altri luoghi ricostruiti sempre in quei secoli, di come risorgere, almeno in Italia, non significhi solo mettersi un nuovo tetto sopra la testa, ma rinnovare, e se possibile meglio di prima, la straordinarietà del privilegio di vivere circondati da quanto di eccellente seppero donare le generazioni di artisti che qui operarono, non importa da dove giunti.
Infine un esempio negativo nel trapanese: Gibellina nuova. Una sconfitta del Novecento. Stringe il cuore aggirarsi per gli spazi dilatati e maltenuti di questa "new town" dove la bellezza si riduce ad episodi marginali, con tutta la buona volontà di trovarli, e per il resto l'estetica della periferia indifferenziata corrode il paesaggio trasformato in un anonimo west de noantri. Lì a Gibellina nuova si consuma la parentesi drammatica del modernismo artistico internazionale, incapace di portare oltre quanto di meglio venne fatto nei secoli precedenti, ma solo di negarlo. Un Sessantotto dell'arte, con tutte le sue conseguenza nefaste già viste nella società e nella cultura contemporanea. Non a caso l'unica opera davvero degna nata su quel sisma del Belice è nella sede originaria di Gibellina, molti chilometri più a monte. Non a caso, lì Burri, con il suo Cretto, ha potuto darci la pietra tombale non solo di Gibellina, ma dell'arte moderna tutta nel suo confronto con il paesaggio, l'architettura e la bellezza.
Oggi non si tratta quindi solo di ricostruire case che non cadano più così facilmente sotto le scosse di un terremoto, ma di rinnovare la bellezza, come urgenza vitale, con nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi pensieri. Una bellezza degli anni Duemila che sappia ereditare dal passato un orgoglio perduto per il privilegio di abitare in Italia, e non in un qualunque Midwest planetario.