Qualsiasi altra.
Leggendo diversi saggi di autorevoli studiosi italiani e stranieri, si incontra facilmente la questione delle questioni: il rapporto tra fotografia e arte.
A seconda del momento storico in cui il saggio è stato scritto si oscilla in genere tra una posizione che si potrebbe definire per comodità "pittorialista", la quale vede nel fotografico il proseguimento della pittura con altri mezzi, e quella "concettuale", che considera l'immagine automatica estranea alle logiche della pittura e anzi perfettamente antipittorica, secondo la linea d'azione e pensiero inaugurata dal pittore pentito per eccellenza: Marcel Duchamp.
Tra questi due estremi si rincorrono nei decenni le tendenze nelle opere di chi dipinge e di chi fotografa con intenzioni artistiche.
Qui penso stia il punto interessante: le intenzioni. Mentre dipingere è una pratica che si svolge, oggi più che mai, tutta all'interno del sistema delle arti, il fotografare coinvolge milioni e milioni di persone, in aumento esponenziale, che prendono immagini automatiche completamente al di fuori di quel sistema.
Questa immensa disparità numerica tra le intenzioni dei pochi che "fanno arte" e le moltitudini che "fanno la loro vita", richiederebbe di poter ripensare in altri termini il rapporto con il fotografico. L'ipotesi che trovo al momento più interessante è quella che vede nella centralità dell'esperienza delle cose il punto discriminante.
Il terreno d'incontro non sarebbe più tanto quello pittorico, e quindi artistico, quanto quello iconico. Come ogni altra icona, anche quella fotografica è governata dalla composizione. Diversamente però dalle altre icone, qui la composizione è solo una questione operativa, non una finalità espressiva. La finalità espressiva è nell'esperienza che necessariamente deve comunque avvenire, per poi poterne ottenere una traccia visiva coerente. Quindi, in sintesi, l'icona fotografica sarebbe un mezzo tecnologico per trasferire esperienze dirette, che siano esse strettamente private, familiari, sociali, politiche o qualsiasi altra.
A seconda del momento storico in cui il saggio è stato scritto si oscilla in genere tra una posizione che si potrebbe definire per comodità "pittorialista", la quale vede nel fotografico il proseguimento della pittura con altri mezzi, e quella "concettuale", che considera l'immagine automatica estranea alle logiche della pittura e anzi perfettamente antipittorica, secondo la linea d'azione e pensiero inaugurata dal pittore pentito per eccellenza: Marcel Duchamp.
Tra questi due estremi si rincorrono nei decenni le tendenze nelle opere di chi dipinge e di chi fotografa con intenzioni artistiche.
Qui penso stia il punto interessante: le intenzioni. Mentre dipingere è una pratica che si svolge, oggi più che mai, tutta all'interno del sistema delle arti, il fotografare coinvolge milioni e milioni di persone, in aumento esponenziale, che prendono immagini automatiche completamente al di fuori di quel sistema.
Questa immensa disparità numerica tra le intenzioni dei pochi che "fanno arte" e le moltitudini che "fanno la loro vita", richiederebbe di poter ripensare in altri termini il rapporto con il fotografico. L'ipotesi che trovo al momento più interessante è quella che vede nella centralità dell'esperienza delle cose il punto discriminante.
Il terreno d'incontro non sarebbe più tanto quello pittorico, e quindi artistico, quanto quello iconico. Come ogni altra icona, anche quella fotografica è governata dalla composizione. Diversamente però dalle altre icone, qui la composizione è solo una questione operativa, non una finalità espressiva. La finalità espressiva è nell'esperienza che necessariamente deve comunque avvenire, per poi poterne ottenere una traccia visiva coerente. Quindi, in sintesi, l'icona fotografica sarebbe un mezzo tecnologico per trasferire esperienze dirette, che siano esse strettamente private, familiari, sociali, politiche o qualsiasi altra.