Il cavallo di Troilo.
Rubo il titolo ad un commento che ho letto su Facebook, me ne scuso con l'autore, ma è troppo calzante.
Insomma alla fine della storia la città oscura di Giovanni Troilo non era Charleroi, ma il World Press Photo. Una città fatta di ipocrisie, confusione etica, maramaldeggiamenti deprimenti.
Certamente il fotografo ha messo in scena diverse delle immagini che ha presentato al concorso. Ancora più certamente le sue didascalie potevano depistare degli ingenui lettori. Però se il borgomastro di Charleroi non avesse fatto la sua intemerata, sarebbe andato tutto bene Madama la Marchesa. I giurati del concorso, e chi lo dirige, si sarebbero beati della visibilità data ad un nuovo talento e avanti con la prossima edizione.
Trovo particolarmente vile, e quindi eticamente scorrettissimo, che per salvarsi il culo, scusate il francese, quelli del WPP abbiano ordito una trama cinica e bara per fare in modo che a perdersi fosse il solo fotografo. La richiesta di precisazioni sul contesto delle riprese era pelosa, serviva a spostare la luce dell'indignazione generale dal premio al fotografo, rendendolo il capro espiatorio perfetto per una situazione che invece lo vede come vittima. Vittima di un sistema mediatico prontissimo ad ingoiare tutto e il contrario di tutto, lasciando che a morire di guerra o ludibrio siano quelli sul campo, quelli che, comunque facciano, anche in malafede perché no, pagheranno sempre e solo di persona. Mentre chi ha selezionato quella serie di Troilo, chi lo ha poi messo in cattiva luce internazionale facendo il pollice verso, così salvando la propria autorità, se ne sta ora comodamente seduto ad aspettare di premiare ed escludere i prossimi gladiatori dell'informazione. I quali busseranno inevitabilmente il prossimo anno per avere un pìatto di minestra calda con cui giustificarsi della vita vagabonda e grama che tocca loro di fare.