Il cuore vero del fotogiornalismo.

Mi è stato detto che scrivo troppe parole. Capisco che leggere sulla rete non è come leggere sulla carta. Tenterò quindi d'ora in poi di essere ancora più sintetico e breve.




Il borgomastro di Charleroi chiede al World Press Photo che venga ritirato il premio conferito a Giovanni Troilo per la serie intitolata "Il cuore nero dell'Europa". Il giornalista Michele Smargiassi intervista al telefono il fotografo per conoscere la sua reazione. Uno dei soggetti, il cosiddetto "obeso" è Philippe Genion, scrittore ed editore, il quale replica con intelligenza al testo di accompagnamento del suo ritratto in posa realizzato da Troilo.

Chi lo desidera, cliccando sui link può approfondire la questione. A me qui preme solo rimarcare che le immagini vivono di vita propria, così come le parole. Ogni immagine o parola si contrappone ad altre immagini e parole. In pratica sono mondi paralleli, visionari sovente, che possono intersecare la nostra esperienza esistenziale della vita, ma non di più. Al fotogiornalismo si chiede invece un sovrappiù di aderenza alle cose, nel tentativo di costruire, con parole e immagini, un ponte utile per la formazione di un'opinione basata il più possibile sui fatti accaduti. Qui la faccenda si complica. Esagerare con le finzioni visive basate su fatti realmente accaduti, ma ripresentate ad arte seguendo i metodi della staged photography, magari mescolandole pure con altre immagini prese nello svolgersi di fatti, didascalizzati però in altro modo, porta la conseguenza della perdita di credibilità di quanto viene scritto e fatto vedere. Quindi porta alla fine della funzione per cui dovrebbe esistere una cosa che si è a lungo chiamata "fotogiornalismo".

Già troppe parole, lo so. Mi ci va del tempo, ma migliorerò.



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