Il problema del genere nelle arti visive.
©2014 Fulvio Bortolozzo. |
L'idea di poter classificare l'arte visiva, mutuando il metodo dalle scienze naturali è molto antica. Il metodo in se stesso è anche utile. Serve a ridurre la complessità e vastità della produzione visiva a insiemi più maneggevoli per lo studio. Gli scienziati naturalisti sanno però bene che le classificazioni rimangono provvisorie e soggette alla continua verifica e critica di ogni altro studioso che porti nuove osservazioni ed esperimenti a favore di classificazioni diverse.
Spostando questo approccio dalle scienze alle arti visive, per un paradosso tutto da spiegare, il provvisorio diventa definitivo e le classificazioni si trasformano facilmente in etichette inconfutabili: i cosiddetti generi, appunto. Studiosi d'arte, critici, docenti, collezionisti, tifoserie, tutti i cultori della materia insomma tendono ad alimentare una sorta di Letti di Procuste in cui costringere, a volte con evidente violenza logica, qualsiasi opera ed autore in un preciso posto assegnato e non più facilmente ridiscusso in seguito. Questo fatto alimenta la faziosità e l'identificazione del genere come prima questione critica. A quale genere appartiene questo dipinto? Questa fotografia? Questo disegno?
Il classico carro davanti ai buoi. Uno strumento di analisi e conoscenza che diventa una prigione concettuale nella quale ci si preoccupa solo di assegnare le giuste celle. Per questo motivo, tendo a preferire l'azzeramento della questione dei generi, per favorire una ripartenza dell'attenzione sull'opera e sull'autore di per se stessi, senza iniziare con il dare patenti di appartenenza.
In sostituzione della classificazione in generi propongo l'insiemistica delle tradizioni, dei riconoscimenti diretti e reciproci tra gli autori stessi, ove questo sia possibile, ma sempre e comunque con l'intenzione di mantenere queste linee, queste sonde, in perenne stato di verifica e cambiamento.
Facciamo due passi indietro quindi, per farne davvero uno avanti.
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