Koudelka a Bard.
Santo Stefano mi porta il regalo della visita ad una mostra di alto livello. Al Forte di Bard in Valle d'Aosta espone il fotografo Josef Koudelka. La personale si intitola Vestiges 1991-2014 e rimane aperta fino al 3 maggio 2015. Sul sito del Forte ci sono le informazioni utili.
Prima di tutto vorrei sottolineare il notevole lavoro di progettazione dell'allestimento, che il personale delle sale mi dice essere merito di Andrea Holzherr, responsabile di Magnum Photos per le esposizioni e gli eventi culturali. Gli spazi delle Cannoniere di Bard, già seducenti di loro, vengono occupati non solo con stampe fotografiche a muro di grandi dimensioni e impatto, ma anche con bassi parallelepipedi variamente disposti sul pavimento e contenenti le fotografie nella faccia superiore. L'insieme dell'installazione, giocata proprio sulle diagonali, rispetta e valorizza uno dei punti di forza essenziali del modulo compositivo di Koudelka. A integrazione della mostra uno slide show con molte più immagini di quelle esposte, persino troppe, e un utilissimo Reading Corner con i libri fondamentali di Koudelka, tra cui, per me, l'nsuperabile Chaos, edito da Phaidon nel 1999.
Proprio da Chaos vorrei partire, visto che alcune delle immagini germinali di Vestiges già vi appaiono. L'effetto di quel libro fu grande, almeno per me, non solo per via dell'inusuale formato panoramico (il classico rettilineare con il rapporto tra i lati di 3 a 1), ma anzi soprattutto per la libertà d'azione e composizione che adottava. Un approccio "sporco" che prevedeva la violazione di tutte le regole di ripresa consuete con quel tipo di dispositivo fotografico: dalla ripresa su treppiede in bolla, alla cura del dettaglio fine e della restituzione tonale, al rigore estremo della inquadratura prospettica. Koudelka prende un ben educato e addestrato cavallo lipizzano e lo trasforma in un mustang del selvaggio West. Ogni scelta tecnica diviene espressiva e così l'inclinazione a piacere, il bianco e nero, nerissimo, contrastato e carico di grana, la profondità di campo estrema, le verticali impaginate a 2 e 3 per volta, persino il micromosso provocato dal prendere foto a mano libera, diventano le chiavi formali per restituire davvero il caos, il fuligginoso mondo incerto in cui si muove Koudelka e noi tutti con lui. Lo stesso alternarsi di primissimi piani, pavimentazioni, segni, superfici materiche e ambienti urbani, archeologici, degradati, bucolici, creano un crescendo rossiniano, un flusso vorticoso e inarrestabile, una corsa verso il vuoto.
In Vestiges tutto questo non c'è. L'impressione è di silenzio, di calma apparente. Come se tutto fosse già successo. Quelle rovine sono già le nostre. La vegetazione, l'acqua, il vento stanno riprendendosi il pianeta e di noi restano, come resteranno, rare vestigia, via via meno visibili. Koudelka forse tira le somme, chissà.
A completamento dell'operazione, rassicuro gli appassionati del genere che potranno godere di tutto l'immancabile gadgettismo museale contemporaneo che accompagna ogni mostra che si rispetti. Rimpinzatevi!
Prima di tutto vorrei sottolineare il notevole lavoro di progettazione dell'allestimento, che il personale delle sale mi dice essere merito di Andrea Holzherr, responsabile di Magnum Photos per le esposizioni e gli eventi culturali. Gli spazi delle Cannoniere di Bard, già seducenti di loro, vengono occupati non solo con stampe fotografiche a muro di grandi dimensioni e impatto, ma anche con bassi parallelepipedi variamente disposti sul pavimento e contenenti le fotografie nella faccia superiore. L'insieme dell'installazione, giocata proprio sulle diagonali, rispetta e valorizza uno dei punti di forza essenziali del modulo compositivo di Koudelka. A integrazione della mostra uno slide show con molte più immagini di quelle esposte, persino troppe, e un utilissimo Reading Corner con i libri fondamentali di Koudelka, tra cui, per me, l'nsuperabile Chaos, edito da Phaidon nel 1999.
Proprio da Chaos vorrei partire, visto che alcune delle immagini germinali di Vestiges già vi appaiono. L'effetto di quel libro fu grande, almeno per me, non solo per via dell'inusuale formato panoramico (il classico rettilineare con il rapporto tra i lati di 3 a 1), ma anzi soprattutto per la libertà d'azione e composizione che adottava. Un approccio "sporco" che prevedeva la violazione di tutte le regole di ripresa consuete con quel tipo di dispositivo fotografico: dalla ripresa su treppiede in bolla, alla cura del dettaglio fine e della restituzione tonale, al rigore estremo della inquadratura prospettica. Koudelka prende un ben educato e addestrato cavallo lipizzano e lo trasforma in un mustang del selvaggio West. Ogni scelta tecnica diviene espressiva e così l'inclinazione a piacere, il bianco e nero, nerissimo, contrastato e carico di grana, la profondità di campo estrema, le verticali impaginate a 2 e 3 per volta, persino il micromosso provocato dal prendere foto a mano libera, diventano le chiavi formali per restituire davvero il caos, il fuligginoso mondo incerto in cui si muove Koudelka e noi tutti con lui. Lo stesso alternarsi di primissimi piani, pavimentazioni, segni, superfici materiche e ambienti urbani, archeologici, degradati, bucolici, creano un crescendo rossiniano, un flusso vorticoso e inarrestabile, una corsa verso il vuoto.
In Vestiges tutto questo non c'è. L'impressione è di silenzio, di calma apparente. Come se tutto fosse già successo. Quelle rovine sono già le nostre. La vegetazione, l'acqua, il vento stanno riprendendosi il pianeta e di noi restano, come resteranno, rare vestigia, via via meno visibili. Koudelka forse tira le somme, chissà.
A completamento dell'operazione, rassicuro gli appassionati del genere che potranno godere di tutto l'immancabile gadgettismo museale contemporaneo che accompagna ogni mostra che si rispetti. Rimpinzatevi!
(all photos: ©2014 Fulvio Bortolozzo)