Non c'è mai tempo.

©2011 Fulvio Bortolozzo.



















Insomma, l'ennesima querelle sul fotografico è in circolazione un po' ovunque. Stavolta si tratterebbe di una persona partecipante ad una manifestazione di piazza a Roma, giovane e donna, che per qualche motivo finisce stesa a terra, e, mentre un altro manifestante steso accanto a lei tenta di proteggerla, viene scambiata per uno zainetto da un agente in servizio di ordine pubblico. Siccome chiunque di noi quando vede uno zainetto per terra non può resistere alla tentazione, l'agente vi sale sopra con una gamba su cui appoggia per qualche momento il peso del suo di corpo. Non so se i fatti si siano svolti così. Non c'ero. Non ho visto e sentito direttamente. Sono uno dei milioni di ciechi e sordi che provano a vincere il loro isolamento in vite private e separate le une dalle altre per mezzo di ciò che i cosiddetti "mezzi di comunicazione di massa" fanno arrivare a tutti noi.

A complicare questa come le altre vicende, c'è di mezzo l'ignoranza dei più, nel senso etimologico del termine, sul funzionamento dell'immagine fotografica. Anche di coloro che dovrebbero capirne qualcosina, come i giornalisti di penna, per esempio. Partono così tante illazioni, considerazioni, invettive, ecc. ecc. basate sul nulla mischiato col niente.

Un'immagine fotografica non si fa, si prende. Accade. Una macchina messa davanti alle cose ne conserva tracce visive. Lo stesso umano che la impugna non sa bene cosa conterrà la fotografia che sta prendendo, specie se mette in azione la macchina durante momenti concitati. Tutto rimane poi bloccato, fissato, reso immutabile, anche ciò che è durato nel tempo frazioni infinitesimali di secondo. Oppure resta una porzione temporale molto ridotta di ciò che è durato invece per un tempo lunghissimo, infinito per chi lo vive.

Insomma se da un'immagine fotografica escludiamo l'analisi e la considerazione del tempo di cui è fatta prima, durante e persino dopo, mentre la si guarda, si rischia di non capire cosa si sta guardando, di immaginare cose che non esistono o non vedere cose che invece sono lì davanti ai nostri occhi.

Ma non c'è tempo, Si fanno fotografie perché sembra che questo tempo lo recuperino, consentano di spostarlo e usarlo a nostro piacimento. Poi però non c'è tempo per estrarre da questa condensazione temporale che sono le fotografie il flusso degli eventi da cui originano e analizzarlo, passo a passo.

Non c'è mai tempo per tentare di mettersi in gioco e capire, o almeno ordinare in qualche modo i dati visivi di una fotografia. C'è solo il tempo per coprirla di parole, per elevarla a simbolo di un ragionamento o di quello opposto. C'è sempre tempo per mantenersi ciechi e sordi nonostante gli strumenti che si dovrebbero adoperare per tentare di liberarci dalla schiavitù del tempo e dello spazio in cui siamo nati e viviamo.
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