Sgarbi fotografici.
Ricevetti anch'io tempo fa, come molti altri, una email circolare che annunciava la nuova impresa dell'Onorevole (sic) Vittorio Sgarbi: una Biennale della fotografia a Torino! Molto incuriosito, diedi subito un'occhiata al sito della manifestazione (http://www.biennalefotografia.it) ma, oltre al resto e prima di ogni altra considerazione, le mie perplessità si manifestarono già leggendo l'art. 4 del regolamento di partecipazione: "A tutti i partecipanti che vogliano iscriversi sarà richiesto un
contributo pari ad euro 350,00 (non rientrante nel regime iva in quanto
trattasi di ente non commerciale)". L'articolo 4 termina poi così: "Il contributo economico richiesto all’artista permette a questo evento
di rimanere autonomo evitando condizionamenti e garantendo la massima
libertà d’espressione del singolo artista. Tale contributo permette
infatti l’esclusivo pagamento delle spese vive e non servirà a mantenere
altro che la valorizzazione e la diffusione delle opere d’arte degli
artisti medesimi dando la possibilità ad una partecipazione senza filtri e senza scopo di lucro.". Senza scopo di lucro? Ente non commerciale? Ma davvero?
Ne dedussi comunque che, pagando la somma, richiesta, avrei avuto diritto a partecipare, senza filtri, ad un evento che mi avrebbe consentito di far meglio conoscere il mio lavoro (evento che però partiva già male, spacciando di essere il primo del genere, ignorando così colpevolmente che proprio Torino negli anni '80-'90 vide diverse edizioni di una notevole Biennale internazionale della fotografia voluta da Luisella D'Alessandro).
Vabbè, andiamo avanti. Leggere l'articolo 6 (Visibilità) fu molto istruttivo:
La prima Biennale della Fotografia italiana offre ai suoi partecipanti quanto di seguito descritto:
1) pubblicazione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica sul sito istituzionale complete di descrizione dell’opera e biografia dell’autore;
2) visibilità tramite la pubblicazione del catalogo della mostra a cura dell’Istituto Nazionale di Cultura (art. 8);
3) visibilità tramite la riproduzione delle opere in formato digitale a scopo informativo e divulgativo della manifestazione e degli artisti stessi;
4) esposizione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica per l’intera durata della manifestazione;
5) visibilità sui vari media coinvolti (art. 9);
6) visibilità attraverso i premi proposti (art. 7);
7) visibilità attraverso i riconoscimenti istituiti dalla direzione e/o i partner della manifestazione (art. 10).
In buona sostanza, quello che avrei avuto da guadagnare sarebbe stato: una mostra di 2 opere per tre mesi alle ex Officine Grandi Riparazioni di Torino con uno spazio di base 100 cm per altezza 200 cm (vedi articolo 3 del regolamento); del battage mediatico (mi immagino già Sgarbi che solleva litigi televisivi per far accendere i fari sulla manifestazione); una presenza sul sito dell'evento; un catalogo edito dall'Istituto Nazionale della Cultura, il quale, nonostante l'altisonante nome, altro non è che il braccio commerciale-operativo di Sgarbi, diretto dal suo socio in affari Giorgio Gregorio Grasso. Lo schema sembra proprio quello del Paese dei Balocchi e i due mi ricordano parecchio le figure del Gatto e della Volpe di collodiana memoria. Indovinate un po' chi saranno i Pinocchio della situazione?
Comunque tanto, poco o inaccettabile che sia ciò che Sgarbi propone, ognuno è giusto che tragga le sue conclusioni. Per esempio, Fabio Severo, tenendo fede al suo bel cognome latino antico, così stigmatizza l'impresa sul sito di Linkiesta: http://www.linkiesta.it/biennale-di-fotografia-italiana.
Ebbi, tra l'altro, già modo in passato di visitare un'evento di Sgarbi a Torino un paio d'anni fa: la 54esima Biennale d'arte. Ciò che ne ricavai lo scrissi qui sul blog: http://borful.blogspot.it/2012/01/sgarbissima.html. Temo proprio che stavolta mi troverò a poter fare un bel "copia - incolla" di quanto scritto allora, con le piccole variazioni del caso. Le OGR poi, nei progetti del Comune di Torino, dovrebbero diventare un vero polo museale che riunisca le realtà operative della GAM e del morente Castello di Rivoli. Certo però che se queste sono le prime avvisaglie... Infine una considerazione. Come reagirà a questo evento il residuale ambiente della "cultura fotografica" torinese? Attendo segnali.
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Ne dedussi comunque che, pagando la somma, richiesta, avrei avuto diritto a partecipare, senza filtri, ad un evento che mi avrebbe consentito di far meglio conoscere il mio lavoro (evento che però partiva già male, spacciando di essere il primo del genere, ignorando così colpevolmente che proprio Torino negli anni '80-'90 vide diverse edizioni di una notevole Biennale internazionale della fotografia voluta da Luisella D'Alessandro).
Vabbè, andiamo avanti. Leggere l'articolo 6 (Visibilità) fu molto istruttivo:
La prima Biennale della Fotografia italiana offre ai suoi partecipanti quanto di seguito descritto:
1) pubblicazione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica sul sito istituzionale complete di descrizione dell’opera e biografia dell’autore;
2) visibilità tramite la pubblicazione del catalogo della mostra a cura dell’Istituto Nazionale di Cultura (art. 8);
3) visibilità tramite la riproduzione delle opere in formato digitale a scopo informativo e divulgativo della manifestazione e degli artisti stessi;
4) esposizione delle due opere selezionate ad insindacabile giudizio della commissione tecnica per l’intera durata della manifestazione;
5) visibilità sui vari media coinvolti (art. 9);
6) visibilità attraverso i premi proposti (art. 7);
7) visibilità attraverso i riconoscimenti istituiti dalla direzione e/o i partner della manifestazione (art. 10).
In buona sostanza, quello che avrei avuto da guadagnare sarebbe stato: una mostra di 2 opere per tre mesi alle ex Officine Grandi Riparazioni di Torino con uno spazio di base 100 cm per altezza 200 cm (vedi articolo 3 del regolamento); del battage mediatico (mi immagino già Sgarbi che solleva litigi televisivi per far accendere i fari sulla manifestazione); una presenza sul sito dell'evento; un catalogo edito dall'Istituto Nazionale della Cultura, il quale, nonostante l'altisonante nome, altro non è che il braccio commerciale-operativo di Sgarbi, diretto dal suo socio in affari Giorgio Gregorio Grasso. Lo schema sembra proprio quello del Paese dei Balocchi e i due mi ricordano parecchio le figure del Gatto e della Volpe di collodiana memoria. Indovinate un po' chi saranno i Pinocchio della situazione?
Comunque tanto, poco o inaccettabile che sia ciò che Sgarbi propone, ognuno è giusto che tragga le sue conclusioni. Per esempio, Fabio Severo, tenendo fede al suo bel cognome latino antico, così stigmatizza l'impresa sul sito di Linkiesta: http://www.linkiesta.it/biennale-di-fotografia-italiana.
Ebbi, tra l'altro, già modo in passato di visitare un'evento di Sgarbi a Torino un paio d'anni fa: la 54esima Biennale d'arte. Ciò che ne ricavai lo scrissi qui sul blog: http://borful.blogspot.it/2012/01/sgarbissima.html. Temo proprio che stavolta mi troverò a poter fare un bel "copia - incolla" di quanto scritto allora, con le piccole variazioni del caso. Le OGR poi, nei progetti del Comune di Torino, dovrebbero diventare un vero polo museale che riunisca le realtà operative della GAM e del morente Castello di Rivoli. Certo però che se queste sono le prime avvisaglie... Infine una considerazione. Come reagirà a questo evento il residuale ambiente della "cultura fotografica" torinese? Attendo segnali.
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