METADATA #19: Fulvio Bortolozzo.
Come promesso, ripubblico qui in italiano l'intervista realizzata da Gaia Musacchio e David Pollock, apparsa il 6 agosto scorso in lingua inglese nella sezione METADATA di Photo Schools.
1. Raccontaci del tuo approccio alla fotografia. Com’è cominciato? Quali sono le memorie dei tuoi primi scatti?
A parte la consueta pratica delle “foto ricordo”, le prime fotografie consapevoli le feci tardi, verso la fine del corso di scenografia all'Accademia Albertina di Torino, all'inizio degli anni Ottanta. Si trattava di prove sul campo in bianco e nero realizzate con una rudimentale biottica sovietica di medio formato messa in bolla su un leggero treppiede. All'epoca, la mia iniziale attività professionale si svolgeva all'interno del mondo editoriale e spaziava dalla creazione di testi e disegni per fumetti comici, all'illustrazione di libri per l'infanzia, per approdare in seguito alla grafica editoriale e corporate, proseguendo nella produzione e regia di documentari audiovisivi in multivisione, per terminare la parabola nell'esperienza di editore di pubblicazioni monografiche dedicate al territorio alpino torinese, delle quali realizzavo l'intero progetto: ricerca delle fonti, stesura dei testi e apparato grafico, fotografie incluse. La fotografia era quindi vissuta più come un elemento di progettualità più ampie che come un peculiare mezzo espressivo. Imprevedibilmente invece, fu proprio il fotografico, verso la seconda metà degli anni Novanta a finire per assorbire completamente le mie energie.
©2008 Fulvio Bortolozzo - Serie Un habitat italiano. |
2. Come sei arrivato allo IED? Qual è stata la tua prima esperienza come insegnante? E cosa ti ha portato verso questo tipo di carriera?
Ai corsi triennali dello IED di Torino arrivai nel 1998, presentato da Rodolfo Suppo, titolare di Fuocofisso, per tenere un corso sul programma di grafica vettoriale Corel Draw, che all'epoca usavo per i miei progetti. Prima di allora non avevo mai pensato all'insegnamento, preso com'ero da una sorta di “auto-formazione permanente” sia sul fronte tecnico, sia su quello culturale. Erano anni nei quali l'arrivo dell'informatica stava cambiando completamente il flusso di lavoro nell'industria grafica e si rendeva necessario un crescente aggiornamento. Anche il web iniziava a far sentire i suoi effetti e difatti proprio nel 1998, studiando un po' di linguaggio HTML, diedi avvio al mio sito personale: bortolozzo.net. Il contatto con gli studenti dello IED fu subito fortunato. Scoprii che la mia antica vena da “cabarettista” mi permetteva di costruire con loro un ponte allo stesso tempo piacevole e molto formativo. Ancora oggi, lo scambio vitale con gli allievi, il flusso di conoscenza che possiamo mettere in atto, è alla base dell'entusiasmo con cui vivo la didattica. Fu nel 2001 che Enzo Obiso, conoscendo i miei lavori e dovendo scegliere nuovi insegnanti per il Corso di Fotografia dello IED che si avviava a dirigere, mi propose di tenere dei corsi specifici. Da allora, tra le altre esperienze didattiche vissute allo IED, sono docente di Fotografia di territorio per gli studenti del primo anno.
©2012 Fulvio Bortolozzo - Serie Trapani intorno. |
3. Dal momento che questa serie di interviste raccontano il mondo dell’insegnamento, ci potresti parlare del tuo programma allo IED? Che cosa insegni? Quanti studenti hai?
Il programma del corso di Fotografia di territorio è imperniato sulle uscite collettive inframezzate dalle analisi compositive e concettuali delle fotografie realizzate dagli studenti, in genere una quindicina circa, e da momenti di approfondimento teorico e storico. Al termine del corso, ogni allievo prepara e presenta all'esame un suo portfolio dedicato ad un luogo o una tipologia di luoghi . Su questa struttura di base , ogni anno introduco la conoscenza di nuovi autori e di approcci differenti al rapporto tra fotografia e luogo. In pratica la mia evoluzione professionale accompagna e sostiene il corso. Alla base, trattandosi di allievi del primo anno che ho già avuto occasione di formare nel semestre precedente con un corso di teoria e tecnologia fotografica, cerco sempre di concentrarmi, più che sulla tecnica di ripresa, sulla conoscenza e sul controllo della prospettiva come elemento fondamentale dal quale partire per comporre la descrizione di un luogo e delle relazioni volumetriche, illuminotecniche e architettoniche che vi si possono osservare.
©2008 Fulvio Bortolozzo - Serie Scene di passaggio (Soap Opera). |
4. Dividi il tuo tempo fra l’insegnamento e la ricerca personale. Come gestisci questi due percorsi? Riesci a condividere alcuni aspetti della tua ricerca personale durante l’insegnamento e con il percorso degli studenti?
Come in parte già dicevo prima, ogni mio passo nella ricerca si riflette nella didattica che quindi muta di anno in anno seguendo la mia personale evoluzione. Il contatto con gli studenti mi permette di proporre anche a loro ciò che vado facendo e di ricevere il loro contributo di pensiero. In genere comunque evito sia di pormi come esempio, sia di porre l'accento su precise tecniche o approcci. Tutto difatti vorrei tranne che produrre tanti “bortolozzini” che mi replichino fino alla parodia.
©Fatma Bucak, studente IED. |
©Ilaria Ferretti, studente IED. |
Con alcuni allievi il discorso iniziato ai corsi si evolve, dopo il termine del loro percorso allo IED, in un dialogo che rimane fertile nel tempo. Tra gli altri, vorrei citare i casi di tre giovani e validi artisti: Antonio La Grotta, Ilaria Ferretti e Fatma Bucak.
©Antonio La Grotta, studente IED. |
5. Sei anche editor del blog Camera Doppia. Come pensi che internet e tutto ciò che ne è collegato stia influenzando la produzione e la condivisione delle immagini?
Certamente la rete è un fattore di grande cambiamento ed evoluzione nella percezione stessa del fotografico e del suo rapporto con il sociale. Le modalità sono tuttavia disparate e, a mio modo di vedere, non sempre positive. Nel caso del blogging, a cui assimilo anche le webzine specialistiche e alcuni forum, trovo che lo strumento sia virtuoso e consenta scambi rapidi di pensieri, informazioni e conoscenze in quantità e qualità impensabili anche solo fino a una decina d'anni fa. Impensabili e oggi davvero irrinunciabili. Chiaramente, la dinamica connettiva della rete chiede a ciascuno dei nodi di farsi parte attiva e di ricevere e trasmettere nel flusso con una certa continuità. Questo potrebbe finire per minacciare la qualità, in specie critica, di quanto viene diffuso, ma nel complesso, imparando a selezionare gli interlocutori, i benefici superano ampiamente gli aspetti negativi. Diverso il discorso per i social network icono-centrici, in primis Instagram. Qui interviene una gabbia ideologica predisposta dal fornitore del servizio che impone una propria estetica (i filtri, le apps) e una modalità di trasmissione (istantanea, tramite smartphone) che finiscono per omogeneizzare ogni contributo ed impoverire la ricchezza linguistica degli utenti. Ci vedo in atto un disastro culturale, direi persino “antropologico”, simile a quello provocato dalle televisioni commerciali in Italia nell'ultimo ventennio. Per converso, strumenti “foto-sociali” come Tumblr o Flickr permettono di sfuggire in parte al loro programma e di scambiare utilmente parole e immagini tra gruppi e nicchie di persone interessate con una buona efficienza complessiva.
6. A cosa stai lavorando ultimamente? Prevedi nuovi progetti per il futuro?
Sto lavorando su una nuova serie, titolo provvisorio Note a perdere, che mette in relazione l'attraversamento dei luoghi con la mia vicenda biografica, in prosecuzione del lavoro decennale svolto con la serie Scene di passaggio (Soap Opera). Anche in questo caso le fotografie sono realizzate secondo i canoni della restituzione prospettica e non sono preparate o pianificate, ma "accadono" durante gli spostamenti quotidiani. Il flusso progettuale aggrega, per sommatoria, dei sottoinsiemi tipologici che formano nel tempo le nervature attorno alle quali poter costruire delle ipotesi d'indagine sulle trasformazioni del paesaggio contemporaneo.
©2013 Fulvio Bortolozzo - Serie Scene di passaggio (Soap Opera). |
Il punto fondamentale sul quale concentro da anni ogni mia energia è il rapporto tra la prospettiva, come modello culturale di descrizione del visibile, che ritengo ancora vitale e per molti aspetti insostituibile, e la traccia fotografica di quanto vado incontrando nell'esperienza esistenziale. Il racconto, la sintesi narrativa, se proprio devono esserci, e io non lo penso affatto, ritengo che debbano aversi come ricadute, effetti collaterali, del fotografico. Fotografico che, in quanto tale, è già di per sé un visivo contiguo, ma non perfettamente sovrapponibile, al vedere umano. Nello scarto tra la dimensione culturale, la prospettiva, e la dimensione tecnico-concettuale, il fotografico, trovo vi siano possibilità d'indagine molto promettenti per rinnovare il pensiero visivo, per darmi nuove possibilità di osservazione di quanto accade intorno a me.
7. Come vedi lo scenario fotografico italiano?
Frastagliato. Molti fermenti, ma di intensità e valore culturale diseguali. Una mappa a macchia di leopardo che tiene insieme poche eccellenze e tanto altro che potrebbe benissimo smettere di esistere senza conseguenze rilevanti sulla cultura e sull'arte del nostro Paese. Al fondo di tutto questo permane, mi pare, l'incapacità degli attori in gioco di fare sistema e di costruire una rete di sostegno e promozione dei talenti nostrani, non solo, e non per forza, giovani anagraficamente. Qualcosa che altre nazioni fanno invece da sempre. Basti pensare alle politiche culturali del Nord Europa o degli States. Noi siamo progressivamente retrocessi culturalmente allo stadio delle consorterie autoreferenziali, in perenne lotta tra loro per la supremazia ideologica, e quindi per accaparrarsi i pochi soldi che girano nel settore. Per dare soluzione a tutto questo, nell'ipotesi che il mio pensiero sia aderente ai fatti, mi pare che una via possibile possa essere il recupero dell'approccio scientifico alle questioni critiche con il relativo sviluppo di un'onestà intellettuale che sia il fondamento per un sano confronto dialettico. In sintesi, imparare ad amare finalmente il fotografico, al di sopra e al di là di se stessi, dei fotografi e dei loro sodali.
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