La migliore offerta? Anche no.
Scrivo a caldo, reduce dalla visione dell'ultimo Tornatore: La migliore offerta. Con questo regista ho da sempre un rapporto difficile, specie con le seconde parti dei suoi film. Solo vedendo "La leggenda del pianista sull'oceano" ho potuto pensare di trovarmi di fronte ad un completo capolavoro, dal primo all'ultimo fotogramma.
In questa prova, fin da subito, ho sentito qualcosa di macchinoso, di troppo lucidato, segno di grande mestiere, ma anche di un eccesso di costruzione che impedisce l'adesione emotiva. Il ritratto di questo improbabile anziano esperto internazionale d'arte antica, e acclamato battitore d'aste, pur interpretato da un Geoffrey Rush in grande spolvero rasenta la parodia. Non è facile descrivere un mondo d'elite, in tempi poi così lontani da un Hitchcock o da un Visconti. Sono atmosfere ed ambienti non più verosimili. Lo scenario d'oggigiorno è decisamente molto prosaico e gli esemplari di queste bizzarre aristocrazie intellettual-estetiche mitteleuropee non si trovano che nei ricordi letterari. Nel contempo, la storia della misteriosa giovane ereditiera che finisce per attrarre l'algido Virgil Oldman, incapace di ogni interazione con il femminile se non per tramite della pittura, contiene così forti elementi di incredibilità che finiscono per farmela trasferire ben presto sul piano del fiabesco, o, se si vuole, su quello allegorico.
L'attrice coprotagonista, Sylvia Hoeks, funziona purtroppo solo discretamente. Statuina "rotta" di bella presenza, ma senza le complessità e gli ardori psichici richiesti dalla parte. Non certo un personaggio in grado di far perdere credibilmente la testa ad un vecchio misogino, ancora attardato in una venerazione adolescenziale di un tipo di femminilità che solo un pensiero maschile può evocare. Siamo ben lontani dalle tante femmes fatales della migliore scuola cinematografica francese.
Pur con tutto questo, il film resta in piedi con il lavoro eccellente della troupe tecnica: in primis del direttore della fotografia, dello scenografo e anche di Morricone, tuttavia in misura così minore del solito da far sospettare a volte che possa trattarsi invece di un suo allievo o epigono.
A rovinare irrimediabilmente tutto è la parte finale. Tornatore finisce per credere che basti un giochetto di inversione logica tra arte e realtà, tra autenticità e finzione, per giustificare il fatto che una costruzione erotico-psicotica, così faticosamente eretta per tutto il film, possa venir fatta franare con un escamotage davvero banale da poliziesco di serie B, senza che questo non solo non abbia conseguenze nefaste, ma anzi regali addirittura il cosiddetto "colpo di scena finale" all'opera.
Ne sono uscito interdetto. Tanto lavoro, tanta professionalità messe al servizio di una montagna che finisce per partorire un topolino davvero piccolo piccolo.
In questa prova, fin da subito, ho sentito qualcosa di macchinoso, di troppo lucidato, segno di grande mestiere, ma anche di un eccesso di costruzione che impedisce l'adesione emotiva. Il ritratto di questo improbabile anziano esperto internazionale d'arte antica, e acclamato battitore d'aste, pur interpretato da un Geoffrey Rush in grande spolvero rasenta la parodia. Non è facile descrivere un mondo d'elite, in tempi poi così lontani da un Hitchcock o da un Visconti. Sono atmosfere ed ambienti non più verosimili. Lo scenario d'oggigiorno è decisamente molto prosaico e gli esemplari di queste bizzarre aristocrazie intellettual-estetiche mitteleuropee non si trovano che nei ricordi letterari. Nel contempo, la storia della misteriosa giovane ereditiera che finisce per attrarre l'algido Virgil Oldman, incapace di ogni interazione con il femminile se non per tramite della pittura, contiene così forti elementi di incredibilità che finiscono per farmela trasferire ben presto sul piano del fiabesco, o, se si vuole, su quello allegorico.
L'attrice coprotagonista, Sylvia Hoeks, funziona purtroppo solo discretamente. Statuina "rotta" di bella presenza, ma senza le complessità e gli ardori psichici richiesti dalla parte. Non certo un personaggio in grado di far perdere credibilmente la testa ad un vecchio misogino, ancora attardato in una venerazione adolescenziale di un tipo di femminilità che solo un pensiero maschile può evocare. Siamo ben lontani dalle tante femmes fatales della migliore scuola cinematografica francese.
Pur con tutto questo, il film resta in piedi con il lavoro eccellente della troupe tecnica: in primis del direttore della fotografia, dello scenografo e anche di Morricone, tuttavia in misura così minore del solito da far sospettare a volte che possa trattarsi invece di un suo allievo o epigono.
A rovinare irrimediabilmente tutto è la parte finale. Tornatore finisce per credere che basti un giochetto di inversione logica tra arte e realtà, tra autenticità e finzione, per giustificare il fatto che una costruzione erotico-psicotica, così faticosamente eretta per tutto il film, possa venir fatta franare con un escamotage davvero banale da poliziesco di serie B, senza che questo non solo non abbia conseguenze nefaste, ma anzi regali addirittura il cosiddetto "colpo di scena finale" all'opera.
Ne sono uscito interdetto. Tanto lavoro, tanta professionalità messe al servizio di una montagna che finisce per partorire un topolino davvero piccolo piccolo.