This Must Be the Place, maybe...


L'ultima fatica di Paolo Sorrentino non mi ha convinto del tutto, anche se sono contento di averla vista. Considerando che non è davvero facile per un regista italiano scrivere e girare un film internazionale senza cadere nel nostro provincialismo, mi pare che il risultato possa essere considerato accettabile, nonostante le note negative siano diverse. A cominciare da alcuni richiami troppo telefonati all'Antonioni anglofilo di Blow Up e in qualche spleen di troppo dal Paris Texas di Wim Wenders (piacevole però il cameo di Harry Dean Stanton). Tra momenti ironici e pericolosi avvitamenti storici nella Shoah, il film scorre comunque senza perdere il filo, con diversi momenti di buon cinema (il concerto di David Byrne per esempio), anche se con alcune dannose ripetizioni emotive. Il finale abbassa di parecchio la qualità e la tensione narrativa che il film aveva saputo creare, specialmente in tutta la prima parte inglese. L'America di Sorrentino poi, in specie il West, è molto manierata, con echi diversi e riconoscibili, a cominciare dai "momenti indecisivi" di un Robert Frank, per esempio. In ogni caso, Sorrentino riesce nel suo intento di raccontare con sensibilità un viaggio interiore concretamente esistenziale, quello del catatonico Cheyenne, interpretato da un certo professionale, ma un po' monocorde e non sempre convincente, Sean Penn. Infine una nota tecnica: quando la dolly si fa vedere (perché ti fa girare la testa...) allora è proprio meglio lasciarla perdere del tutto.
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