Specchio, specchio delle mie brame
©2010 Fulvio Bortolozzo
Un malanno stagionale mi ha indotto a distrarmi seguendo in parte questa edizione del Festival di Sanremo. Tra le piacevolezze, posso annoverare l'abbondante presenza della bulimica Antonella Clerici. A seguire, il ritmo serrato delle esibizioni canore, alcune anche molto interessanti. Niente siparietti eccessivi e un pezzo dietro l'altro. Bene. Tutto bene? Non proprio. A guastarmi la festa ci ha pensato il meccanismo messo in piedi dalla RAI per decidere chi dovesse vincere. Mi riferisco al famigerato televoto. Pare che centinaia di migliaia di compatrioti abbiano speso 0,75 centesimi per votare il loro cantante preferito. Io no. Difatti il mio, anzi la mia, Malika Ayane, si è dovuta accontentare del premio della critica intitolato a Mia Martini. Ma non è questo il punto.
Sanremo, a mio parere, si conferma ancora una volta specchio fedele del Paese. Almeno di quella "pancia molle" che da sempre è co-protagonista nel bene e nel male delle sorti dello Stellone. Scrivo co-protagonista perché l'altro partner è la fantomatica e famigerata "classe dirigente". Un rapporto perverso unisce i due. La pancia chiede insistentemente "panem et circenses" non importa come ottenuti. Quelli che "comandano", per arrivare a comandare, e continuare felicemente a rotolarsi nei privilegi conseguenti, si industriano di fornirgliene più che possono. Meccanismo semplice, efficace e quanto mai distruttivo. Ma distruttivo di cosa, se tutti ne traggono piacere? A morire è l'idea che esistano dei valori autonomi, indipendenti dalle voglie dell'uno e dell'altro. Il valore della bellezza, per esempio. Decaduto a pura, e becera, tendenza del momento nel principesco grido (canoro) di Avanti Savoia!. Il valore della qualità, del quale rimane la ridicola parodia della riconoscibilità grazie alla partecipazione ad un talent show o un reality. Il valore del merito come mezzo per affermarsi. Di esso restano ormai sparse briciole, disperse tra gli spartiti accartocciati da vecchi orchestrali in un ultimo sussulto di dignità, subito prima di tornare immediatamente a suonare la musica di chi paga.
In sostanza, l'Italia mai come oggi è tornata ad essere un'espressione geografica che vede agitarsi entro i propri confini naturali milioni di individui uniti, e valorizzati, solo dalle loro relazioni interpersonali. Che San Remo ci aiuti...
Un malanno stagionale mi ha indotto a distrarmi seguendo in parte questa edizione del Festival di Sanremo. Tra le piacevolezze, posso annoverare l'abbondante presenza della bulimica Antonella Clerici. A seguire, il ritmo serrato delle esibizioni canore, alcune anche molto interessanti. Niente siparietti eccessivi e un pezzo dietro l'altro. Bene. Tutto bene? Non proprio. A guastarmi la festa ci ha pensato il meccanismo messo in piedi dalla RAI per decidere chi dovesse vincere. Mi riferisco al famigerato televoto. Pare che centinaia di migliaia di compatrioti abbiano speso 0,75 centesimi per votare il loro cantante preferito. Io no. Difatti il mio, anzi la mia, Malika Ayane, si è dovuta accontentare del premio della critica intitolato a Mia Martini. Ma non è questo il punto.
Sanremo, a mio parere, si conferma ancora una volta specchio fedele del Paese. Almeno di quella "pancia molle" che da sempre è co-protagonista nel bene e nel male delle sorti dello Stellone. Scrivo co-protagonista perché l'altro partner è la fantomatica e famigerata "classe dirigente". Un rapporto perverso unisce i due. La pancia chiede insistentemente "panem et circenses" non importa come ottenuti. Quelli che "comandano", per arrivare a comandare, e continuare felicemente a rotolarsi nei privilegi conseguenti, si industriano di fornirgliene più che possono. Meccanismo semplice, efficace e quanto mai distruttivo. Ma distruttivo di cosa, se tutti ne traggono piacere? A morire è l'idea che esistano dei valori autonomi, indipendenti dalle voglie dell'uno e dell'altro. Il valore della bellezza, per esempio. Decaduto a pura, e becera, tendenza del momento nel principesco grido (canoro) di Avanti Savoia!. Il valore della qualità, del quale rimane la ridicola parodia della riconoscibilità grazie alla partecipazione ad un talent show o un reality. Il valore del merito come mezzo per affermarsi. Di esso restano ormai sparse briciole, disperse tra gli spartiti accartocciati da vecchi orchestrali in un ultimo sussulto di dignità, subito prima di tornare immediatamente a suonare la musica di chi paga.
In sostanza, l'Italia mai come oggi è tornata ad essere un'espressione geografica che vede agitarsi entro i propri confini naturali milioni di individui uniti, e valorizzati, solo dalle loro relazioni interpersonali. Che San Remo ci aiuti...