Photography is a crime
"Appunti per gli occhi" ©2009 Fulvio Bortolozzo.
Divertente la deriva che sta prendendo questa discussione sul blog di Sandro Iovine.
Si torna inevitabilmente a parlare di verità e a dire che la fotografia è falsa, perché è un linguaggio, perché lo dice la semiologia, ecc. ecc.
Verrebbe da domandarsi cosa aspettino le autorità di polizia a diffondere la buona novella presso i loro agenti, magari con un bel corso obbligatorio di semiotica e arte contemporanea. Potremmo così finalmente fotografare gli obiettivi strategici, esattamente come già ora possiamo passare nei loro pressi pensando a ciò che vogliamo senza che nessuno ci chieda conto di tali pensieri. Evidentemente, con santa pace dei brillanti studenti d'arte e dei loro professori, un qualche straccio di utilità, e quindi pericolosità, una fotografia deve pur averla se praticarla rischia di essere assimilato ad un atto di terrorismo.
Scendendo giù dall'empireo della filosofia della percezione e tornando lì, nella strada, dove tanta eccellente fotografia d'autore è stata fatta, bisogna avere il coraggio, tutto conservatore e tradizionalista, di dirci che la fotografia consente di acquisire, e diffondere, informazioni visive ricavate dal passaggio della luce attraverso un sistema ottico e conservate su un supporto durevole. Oggi come nel 1839. Queste informazioni sono ancora dannatamente UTILI a chi se ne serva per qualche scopo preciso perché rispecchiano in modo ampiamente verosimile quanto avrebbe potuto essere osservato ad occhio nudo da una persona messa nella stessa situazione della fotocamera. Ovviamente questo accade se si rispettano delle procedure specifiche. Quindi un gruppo terroristico, così come un medico (raggi X, ecografie, TAC, ecc.), un astronomo, un militare e persino un artista contemporaneo, continuano ad ottenere da una fotografia dati visivi affidabili e utilissimi per le loro attività di conoscenza.
Ecco di cosa vanno a caccia le polizie inglesi e internazionali. Ed ecco perché fa tanto comodo ai poteri forti che la gente smetta di fotografare ciò che vede e si metta a giocare con Second Life o a fare fotorealismo con Photoshop seguendo gli insegnamenti dei guru filosofici, che un mio antico amico tedesco con la barba avrebbe definito "borghesi".
Fotografare è davvero un crimine, ma lo è contro l'ignoranza sociale in cui oggi siamo sempre più immersi. La sua montante criminalizzazione, accompagnata di pari passo dalle filosofie "negazioniste" dei soloni dell'arte contemporanea, hanno l'unico scopo di ACCECARE definitivamente l'homus photographicus, oggi grazie alla tecnologia sempre più numeroso e connesso, per consegnarlo, finalmente disarmato e impotente, all'industria del consenso mediatico globalizzato.
Su questo punto politico e sociale fortissimo meriterebbe davvero fare una mobilitazione delle coscienze (altra parolina desueta rimastami in testa dai discorsi che faceva nonno Karl...).
"Donne e uomini fotografanti di tutto il mondo: unitevi!".
Divertente la deriva che sta prendendo questa discussione sul blog di Sandro Iovine.
Si torna inevitabilmente a parlare di verità e a dire che la fotografia è falsa, perché è un linguaggio, perché lo dice la semiologia, ecc. ecc.
Verrebbe da domandarsi cosa aspettino le autorità di polizia a diffondere la buona novella presso i loro agenti, magari con un bel corso obbligatorio di semiotica e arte contemporanea. Potremmo così finalmente fotografare gli obiettivi strategici, esattamente come già ora possiamo passare nei loro pressi pensando a ciò che vogliamo senza che nessuno ci chieda conto di tali pensieri. Evidentemente, con santa pace dei brillanti studenti d'arte e dei loro professori, un qualche straccio di utilità, e quindi pericolosità, una fotografia deve pur averla se praticarla rischia di essere assimilato ad un atto di terrorismo.
Scendendo giù dall'empireo della filosofia della percezione e tornando lì, nella strada, dove tanta eccellente fotografia d'autore è stata fatta, bisogna avere il coraggio, tutto conservatore e tradizionalista, di dirci che la fotografia consente di acquisire, e diffondere, informazioni visive ricavate dal passaggio della luce attraverso un sistema ottico e conservate su un supporto durevole. Oggi come nel 1839. Queste informazioni sono ancora dannatamente UTILI a chi se ne serva per qualche scopo preciso perché rispecchiano in modo ampiamente verosimile quanto avrebbe potuto essere osservato ad occhio nudo da una persona messa nella stessa situazione della fotocamera. Ovviamente questo accade se si rispettano delle procedure specifiche. Quindi un gruppo terroristico, così come un medico (raggi X, ecografie, TAC, ecc.), un astronomo, un militare e persino un artista contemporaneo, continuano ad ottenere da una fotografia dati visivi affidabili e utilissimi per le loro attività di conoscenza.
Ecco di cosa vanno a caccia le polizie inglesi e internazionali. Ed ecco perché fa tanto comodo ai poteri forti che la gente smetta di fotografare ciò che vede e si metta a giocare con Second Life o a fare fotorealismo con Photoshop seguendo gli insegnamenti dei guru filosofici, che un mio antico amico tedesco con la barba avrebbe definito "borghesi".
Fotografare è davvero un crimine, ma lo è contro l'ignoranza sociale in cui oggi siamo sempre più immersi. La sua montante criminalizzazione, accompagnata di pari passo dalle filosofie "negazioniste" dei soloni dell'arte contemporanea, hanno l'unico scopo di ACCECARE definitivamente l'homus photographicus, oggi grazie alla tecnologia sempre più numeroso e connesso, per consegnarlo, finalmente disarmato e impotente, all'industria del consenso mediatico globalizzato.
Su questo punto politico e sociale fortissimo meriterebbe davvero fare una mobilitazione delle coscienze (altra parolina desueta rimastami in testa dai discorsi che faceva nonno Karl...).
"Donne e uomini fotografanti di tutto il mondo: unitevi!".