Fotografia, chi era costei?

"Woman" ©2009 Marta Tiezzi (fonte: Jpeggy).

Per la cronaca, quelle di Marta Lanzius non sono fotografie, ma questo ormai lo diciamo solo per la cronaca perché la cosa in sé non importa più nessuno. Nemmeno a Marta, che, forse, nemmeno esiste.
(testo estratto dalla motivazione di Francesco Jodice per aver segnalato il lavoro "Woman" di Marta Tiezzi nell'ambito del progetto Jpeggy)


Non so se sono rimasto l'ultimo dei Mohicani, ma il fatto che quelle di Marta non siano fotografie a me interessa eccome.
So bene che lo spirito del tempo soffia contro quella cosa che fino alla mia generazione è stata chiamata "fotografia". Leggo anch'io i saggi scritti da studiosi, di varia ascendenza culturale, che mi spiegano come tutto sia ormai solo immagine, non importa più con quali mezzi realizzata.
Pur tuttavia, non capisco se per cocciutaggine senile, insufficiente capacità di riflessione speculativa o invece infantile ossessione da "fotografo della domenica", tutte queste argomentazioni non mi convincono per niente.
Al fondo di tutto il mio scetticismo credo ci sia quel preoccupante distacco ormai esistente tra parole e fatti. Tra il dire e il fare non c'è più di mezzo il tradizionale mare, ma il vuoto. Il dire è rimasto solo.
Per converso, curiosamente, si sequestrano 5.000 file fotografici ad una persona che osservava lo svolgersi della vita nel giardino di una villa appartenente al principale esponente della maggioranza.
Questo piccolo fatto di cronaca mi fa ben sperare che qualcosa della più grande "forma d'espressione visiva morente" del nuovo millennio sia invece ben vivo e vegeto.
Forse è il logos che vuole sbarazzarsene. Meglio il 3D, meglio credere che le cose basta dirle perché si avverino, un poco come fanno i maghi della finanza creativa statunitense o gli ayatollah iraniani.
Un cosa è sicura: il fotografo, quel bizzarro animale che si ostina a puntare il suo congegno verso qualcosa o qualcuno è sempre più malvisto. Così come chiunque scriva sulla Rete di quanto vede accadergli attorno. Meglio il 3D, la Second Life. Non si disturba alcun manovratore, si può sognarsi come fatina svolazzante in un mondo psichedelico e la mente può finalmente trovare il riposo tanto agognato. I fatti, la First Life lasciamoli ai pochi, sempre più pochi, che sanno come gestirli: per sè stessi e per tutti gli altri.

Game Over. (or not?)



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