Eluana nel limbo
Seguo, come tanti, la vicenda di Eluana Englaro attraverso il disordinato flusso di informazioni che mi raggiungono dai vari media. Fino ad oggi l'ho fatto in silenzio. Stamattina però ho sentito il bisogno di aggiungere qualche riga sul mio blog al già tanto, forse troppo, detto, quando ho trovato su Google questa fotografia qui sopra, che non sono riuscito ad attribuire ad alcun autore e me ne scuso con l'interessato.
Vedo nell'immagine un uomo in età che tiene in mano la fotografia di una giovane ragazza. Mi sembra una di quelle fotografie autocelebrative che spesso le belle ragazze si fanno fare nello studio di qualche bravo fotografo professionista. L'espressione del volto è difatti "posata", cioè non spontanea come in una classica istantanea, ma studiata per dare un buon risultato estetico. Lo fanno per consegnare al futuro il loro aspetto ritenuto "migliore", cioè quello giovanile, quando il fiore femminile è al suo massimo splendore.
L'uomo, il padre di Eluana, mostra questa fotografia al fotografo che lo riprende, con un gesto di presentazione, come a voler far vedere non una stampa, ma direttamente la persona ritratta. L'espressione del suo volto è compassata, l'occhio è vivo, ma l'atteggiamento cerca di mantenersi neutro.
Questa immagine mi fa riflettere sul rapporto tra la fotografia e l'esistenza delle persone. In questo momento, a quell'uomo, il padre di Eluana, rimangono solo dei pezzetti di carta che conservano tracce durevoli di come la luce cadeva sul volto e sul corpo di sua figlia nei momenti in cui ella viveva la sua normale giovane vita. Da molti anni, da quel maledetto giorno dell'incidente, sua figlia non ha più potuto posare consapevolmente per nessuno. Nessuna fotografia conserva tracce di suoi ulteriori atti coscienti. In questo senso, la fotografia, ancora una volta, manifesta una soluzione di continuità, un prima e un dopo.
Diversamente da moltissime altre volte però, in questo caso, il dopo non coincide con la morte fisica, e quindi la scomparsa completa, di quanto esisteva prima. Le nuove possibilità medicali consentono di mantenere in vita un corpo anche senza che un cervello sia in stato cosciente. Quindi è ancora possibile stabilire una relazione con quella persona. Si può toccarla, accudirla, amarla.
Si tratta di una vita nuova, tecnologica, mai avuta prima dal genere umano. Penso che tutto il problema nasca da questo fatto. Il diritto, la religione, la coscienza individuale si trovano di fronte un evento inatteso: la concreta presenza nelle possibilità vitali di un essere umano di qualcosa che si confinava prima nell'ambito della sola teologia: il limbo. Oggi, ognuno dei viventi può morire o finire nel limbo.
Da qui, discende quella che penso sia la domanda fondamentale: a chi appartiene una vita? La religione cattolica risponde che appartiene a Dio. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo risponde che appartiene all'individuo stesso. Per la mia capacità di sentire, ragionare e capire, propendo senza incertezze per la seconda ipotesi. Di Eluana non so e non posso dire altro, ma di me posso dire che prego in ginocchio chi mi ama adesso, chi ama il Fulvio che parla, ride, scherza, piange e gioca a rimpiattino con il destino per non dargliela mai vinta, di lasciarmi andare da mio padre, Mario Bortolozzo, quando non darò più alcun segno di poter riprendere il filo spezzato. Non ci tengo ad essere amato come un santo o una reliquia, né a fare da "testimonial" di imperscrutabili disegni divini.
Amen.