Trieste per noi
Stanotte parto in auto con la mia metà del cielo verso Trieste.
A bordo avremo le 30 opere che esporrò domani alla Sala Fenice e un gran frullare d'immagini mentali su quella città mai vista. Quando mi giunse quest'estate l'invito ad esporvi, l'accolsi con entusiasmo anche perché finalmente avrei visto Trieste. Avrei passeggiato nella città che fin da bambino popola la mia fantasia di immagini eroiche e romantiche. Immagini nate al tempo della scuola elementare, quando in classe ci insegnavano ad amare una certa idea dell'Italia, dalle sue origini romane alla nostra Repubblica nata dalla Resistenza. Per capire il contesto, forse è bene fare una piccola digressione.
Oggi suona curiosamente "alla moda", ma i bambini torinesi della mia generazione sono davvero cresciuti con un maestro unico, il mio buon Maestro Isabella di calabre origini, e il grembiulino (nero, perennemente sporco di gesso bianco per i primi due anni, poi sostituito da una più elegante polo blu con fiocchetto a ponpon, ma sempre sporca di gesso bianco).
Non parlo degli anni di Edmondo De Amicis e del suo libro Cuore, ma del relativamente recente quinquennio 1963-67. All'epoca, la televisione si limitava ad interferire con la mia vita solo per pochi momenti: le lezioni del Maestro Manzi (Non è mai troppo tardi), gli sceneggiati, come Belfagor, tratti da romanzi e feuilleton dell'Otto-Novecento, il Carosello, la TV dei ragazzi (ore 17:30, giusto il tempo per un panino veloce a casa, prima di ripartire in giro per il quartiere a far disastri insieme agli altri piccoli filibustieri) e, somma trasgressione, i bei film mandati in onda al mattino, tra fine settembre e i primi di ottobre, in occasione del salone torinese della Tecnica. Ricordo ancora la grande goduria che provavo nel poter guardare la TV al mattino, mentre la mamma, sempre favorevole ad ogni mia attività ritenuta culturale e formativa, faceva buon viso a cattivo gioco per quello stravolgimento delle regole familiari.
Il mio periodico preferito era il Corriere dei Piccoli, dove oltre a gustarmi i fumetti di eccellenti autori nazionali e internazionali potevo leggere testi di Italo Calvino, Gianni Rodari, Dino Buzzati, tanto per citarne alcuni. Quel giornalino era poi una vera e propria miniera per le ricerche scolastiche, grazie alle molte schede illustrate sui vari argomenti storici, geografici e scientifici. Fine della digressione.
Fu in quei primi anni che Trieste fece la sua comparsa nella mia immaginazione. Terra irredenta riscattata con il sangue dei nostri fanti al nemico storico di sempre: L'Impero Austroungarico. Io poi, essendo di etnia veneta, sono stato cresciuto nell'idea che dai crucchi non potessero arrivare che disgrazie. Con l'adolescenza, Trieste divenne per me la città di Italo Svevo. Il porto della Mitteleuropa, approdo di culture, luogo di scambio fecondo tra civiltà diverse, ma non, per forza e per questo, antitetiche. Poi nella storia di famiglia saltò fuori pure che mio padre, najone bersagliere per un breve periodo, rischiò di essere schierato nei primi anni '50 sul fronte orientale durante la crisi con la Jugoslavia di Tito per la questione del Territorio Libero di Trieste. Una città quindi che risuona da sempre in me, come luogo mitico, terra sconosciuta d'italianità ideali.
Domani saprò. Domani osserverò Trieste e tenterò di capire cosa può essere per me adesso questa città così a lungo pensata. Domani, se ne avrò la possibilità tecnica, riporterò da Trieste qualche traccia, qualche scena del mio passaggio. Di sicuro tornerò finalmente a casa con una Trieste più "mia".
Tanto mi basta.