Il piacere di fotografare.

In un mondo invaso all'inverosimile da umani smartfonati, veder muoversi uno sconosciuto armato di treppiede e fotocamera suscita reazioni imprevedibili. Dall'ingenua curiosità all'aperta ostilità. C'è qualcosa in questo atto arcaico che non lascia indifferenti gli osservatori.

L'approccio avviene sovente dopo aver controllato verso dove è puntata la fotocamera. La domanda invariabilmente verte sulla mancata comprensione di quell'affaccendarsi di fronte al nulla di interessante o utile.  Questo accade nel caso migliore, perché se invece l'interrogante rileva suoi interessi o diritti violati, l'aggressione scatta subito.

In questo paese di furbi e ignoranti, l'ergersi a difensori di leggi che si presume esistano solo perché si vorrebbe che ci fossero sarebbe comico se non fosse tragico. L'illegale pretesa di impedire di fotografare qualcosa di visibile a tutti dal suolo pubblico viene considerata sacrosanta. Un popolo che cede la sua privacy ogni momento sulla rete in cambio di giochini da scimmiette annoiate, difende una immaginaria linea Maginot di fronte al fotografo invasore armato di treppiede.

La risposta spiazzante e definitiva, almeno la mia, è che fotografo per il piacere di farlo. L'interrogante  in genere barcolla, decide che sono un inoffensivo idiota e si allontana ammansito. In effetti, ci sono davvero troppi motivi per fotografare, ma quello fondamentale rimane il piacere di farlo, o almeno cosi sarebbe sempre sano che fosse.

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