Il prezzo della falsa innocenza.


Ieri sera si è svolto il secondo incontro di quest'anno organizzato da Phom per il ciclo Fotografia e ambiente. Sono stati invitati il fotografo Paolo Marchetti e il filosofo Leonardo Caffo. Il tema affrontato era quello dello sfruttamento degli animali per l'industria della moda. La serata è stata condotta da Gabriele Magazzù, in sostituzione di Marco Benna, mancato purtroppo da pochi giorni dopo aver coraggiosamente combattuto per mesi un cancro particolarmente aggressivo.

Dopo l'intenso momento dell'unanime cordoglio iniziale, Marchetti ha presentato e commentato alcune fotografie dal suo fotoreportage intitolato The Price of Vanity (Il prezzo della vanità). Immagini realizzate in varie parti del mondo all'interno di aziende di eccellenza del settore dove la lavorazione si svolge nella più normale legalità. Alcuni scatti presi nell'ambiente della moda completavano la serie. Un lavoro durato alcuni anni e pubblicato anche dal National Geographic.  Leonardo Caffo ha aggiunto qualche considerazione a latere.

Fin qui la cronaca. Andando al dunque, il lavoro di Marchetti si inserisce nello stile contemporaneo del più diffuso fotogiornalismo internazionale. Sono immagini digitali ipernitide con cromie molto essenziali e l'uso frequente di forti luci artificiali crude e dirette. L'insieme dell'iconografia così realizzata ha qualcosa di fiammingo nell'effetto iperrealistico che produce. Le guarderanno con il giusto distacco i nostri discendenti, se ne avremo, e le troveranno "tipiche" dei secondo decennio del Duemila. La fotocamera diventa una macchina chirurgica che ritaglia dai fenomeni visibili una sezione talmente affilata da trasformare tutto nel ricalco grafico tridimensionale di se stesso. Forse il tentativo è quello di sopperire all'assenza di rumori, odori e movimenti oppure di scavare nel realismo fino alle ossa per restituirlo con un'evidenza inoppugnabile. Fatto sta che trovo si ottenga l'effetto contrario. Una lucidatura buona per l'editoria ipocrita, ma ben pensante, in specie di cultura anglosassone progressista che vuole lo "scoop" però senza irritare l'inserzionista e chi mette i soldi nella baracca per farla vivere (per pudore chiamato "sponsor").

Il discorso non riguarda nello specifico Marchetti, che nella presentazione si rivela un professionista serio, preparato e consapevole del mondo in cui agisce. Tutto il sistema del'informazione fotogiornalistica, che vorrebbe far parte della più ampia fotografia sociale, è afflitto dagli stessi insuperabili problemi del mostrare come stanno le cose, per pulsione etica, ma senza esagerare perché sennò nessuno ti fa mostrare niente.

E qui veniamo ad un altro nodo. Il fotografo si cala nella situazione con rispetto e distacco. Fotografa persone che fanno quel lavoro crudele verso gli animali per necessità di vita. Lui stesso però fotografa per necessità di vita. Il piano etico è lo stesso. Tutti noi umani viventi lavoriamo per necessità di vita. Quasi tutti, va bene. Allora che senso ha puntare il dito su un lavoro rispetto ad un altro? Produrre bombe, ammazzare animali per la moda o per mangiarseli, coltivare campi fino ad esaurirne la fertilità, spostarsi usando carburanti fossili, ecc. ecc. sono tutti comportamenti che distruggono il ramo su cui siamo seduti. Distinguerli, dà più tempo al ramo prima della rottura, ma non la impedisce. Il problema siamo noi umani, troppo umani e in troppi sul ramo. Basta saperlo, basta vederlo. In questo senso il lavoro presentato da Paolo Marchetti è utile. Non facciamo finta che gli animali siano come Peppa Pig o che mettersi un vestito di pelle animale sia solo un gesto innocente e persino piacevole.

Sapere di essere umani e di essere il problema è già qualcosa. Forse persino troppo però. Si volta pagina, si clicca su un altro sito e si dimentica in fretta. Temo che proprio la memoria sia ciò che si evita di proposito sempre di più. In questo senso, le fotografie digitali aiutano perché sono dei file che difficilmente verranno archiviati e conservati per secoli. Se l'umanità ricordasse proprio tutto, e per davvero, forse finirebbe per ridursi ad una follia persino più insostenibile di quella già dettata dalla falsa innocenza in cui ama vivere.




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