La colpa è sempre degli altri.


Strana cultura quella che vede nel prossimo la causa esclusiva dei propri mali. Certo, fa comodo pensare che i guai siano qualcosa che ti arriva dall'esterno, da entità maligne che tramano senza sosta contro la tua virtù specchiata. Peccato che da oltre un secolo la psicanalisi affondi il coltello nella piaga e dia prove tangibili che in ciò che ci accade c'è una componente, sovente fortissima, di nostra responsabilità. Farla emergere è l'inizio di un percorso autocritico che può portare a miglioramenti significativi della nostra condizione, se non addirittura alla soluzione di problemi annosi.

Ad aggiungersi in negativo a questo quadro, c'è poi la fiducia che siccome il male ti arriva da fuori, sia sempre qualcosa che è fuori a dover farsi carico di levartelo. Al di là della figura cristiana del "salvatore", addirittura si arriva a pensare che sia colui che si ritiene responsabile di quel male a dover essere costretto a redimersi togliendotelo. E se non lo fa, merita ogni infamia, se non vendetta.

Nel complesso quindi chi manca è sempre l'attore principale: noi stessi. Rassicurante assenza, fonte di identità solide perché vuote. In attesa della soluzione, basta sopravviversi fino alla fine. L'unica vera certezza incontrovertibile di ogni vita.

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