Guardare le fotografie per quello che sono.

Di recente nella cronaca italiana è apparsa la fotografia di un poliziotto in tenuta antisommossa che tiene tra le mani la testa di una donna africana in evidente stato di sofferenza. La fotografia è stata diffusa come simbolo dell'animo gentile, si scrive di "carezza", di un poliziotto verso coloro che ha l'ordine di reprimere. Altre fotografie prese quel giorno mostrano gli stessi protagonisti, ma qui il poliziotto ha il braccio alzato, come a intimare duramente alla donna di andarsene.

Questo è solo un caso, ma vale per qualsiasi fotografia, quando si tenta di legarne il senso alla cronaca di un evento. Nessuna fotografia è in grado di dimostrare nulla. Non è nel potere di un'immagine prelevata durante un certo tempo di esposizione. Essa si limita a descrivere nel suo limitato sistema tecnologico ciò che sta davanti all'obiettivo per un tempo dato e basta.

Tornando all'esempio d'apertura del post, quella fotografia ci descrive, da un preciso punto di vista e nei limiti di quanto la focale, il tempo d'esposizione e la luce del momento potevano consentire, come sembra un essere umano vestito da poliziotto antisommossa nel 2017 a Roma; come sembra una donna dell'Africa orientale nel 2017 a Roma. Geotaggando la fotografia possiamo essere più precisi ancora: come sembrano quel giorno, a quell'ora in quel luogo. Andare oltre ed attribuire simboli, senso, motivazioni, significati, vuol dire non comprendere che si sta guardando una fotografia e pensare di poterla guardare come fosse un dipinto, un'illustrazione, un'immagine tradizionale, frutto della volontà e delle idee di un preciso essere umano che di quell'immagine ha deciso e realizzato ogni suo dettaglio.

Forse a quasi ormai due secoli dalla loro comparsa nel mondo delle immagini, si potrebbe pure iniziare a guardare le fotografie per quello che sono.

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