In qualche modo arginata.

Ci sono delle componenti basilari nella produzione di immagini contemporanea che non possono facilmente prescindere dal livello tecnologico raggiunto dalla comunicazione telematica.

Penso che chiunque dia per scontato di poter vedere sostanzialmente qualsiasi cosa dal suo smartphone. Lo smartphone e similari strumenti mobili di connessione, molto più di quanto a suo tempo fece il personal computer, costituiscono in ogni ambito la principale fonte di relazione e informazione interpersonale a distanza. A volte è persino così invasiva da sostituirsi alla relazione diretta anche tra le pareti domestiche (inviare un WhatsApp al figlio barricato nella sua stanza per dirgli che la pappa è pronta, invece di andarlo a stanare di persona, non è più un comportamento così surreale come sarebbe potuto sembrare fino a pochi anni fa).

Ne consegue che l'educazione visiva, la capacità di guardare e capire le immagini, è una pratica autodidattica che si svolge ogni giorno inconsapevolmente sui display, come prima si svolgeva sul monitor dei PC, prima ancora sugli schermi dei televisori e prima di tutto su quelli del cinema.

Sostanzialmente viviamo in un mondo iperfotografico, dove tutto viene visto per tramite di sistemi elettronici ottico-fotografici su schermi in prevalenza retroilluminati. Una realtà che non è più parallela, ma primaria. Le teste chine degli umani sui loro smartphone et similia ovunque essi siano o qualsiasi movimento stiano facendo, ne è la riprova quotidiana. Il mondo potrebbe anche smettere di esistere all'improvviso, nessuno se ne accorgerebbe finché durasse la connessione, tanto si vive tutti ormai su un pianeta duplicato all'infinito. Ansia di immortalità, in qualche modo arginata.



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