Lodi all'etica, meglio se donna.

Ieri una scappata, la prima, finalmente. Il Festival della fotografia etica, mi ha sempre incuriosito, per via del nome altisonante, ma anche respinto, perché si presenteva come settoriale: cose per addetti all'informazione sulle gambe storte di quel cane che è il mondo.

Il mio interesse per il fotografico si sviluppa su terreni visivi più ampi di quelli del giornalismo fatto con le immagini, il quale, ai miei occhi, soffre da parecchio tempo di un forte problema di inaridimento iconografico. L'ennesimo primo piano del volto di un bimbo africano con gli occhi spalancati da qualche disgrazia o la rappresentazione di violenze e situazioni border line sempre con gli stessi stilemi drammatizzanti in prevalenza fatti di contrastati bianco e nero dilatati da grandangoli sempre più esasperantemente vicini all'azione (Capa docet) producono alla fine una sterilizzazione delle emozioni, una interscambiabilità di una situazione con l'altra. Finisce che se non si passa il tempo a leggere, non le fotografie, ma le didascalie, diventa impossibile "entrare" nelle questioni, mettervi una qualche personale empatia.

Bene a Lodi ho trovato diverse conferme di tutto questo, ma anche qualche interessante segnale di superamento. Ho potuto vedere serie fotografiche realizzate da donne che possedevano qualità nuove e diverse. In prevalenza si tratta di fotografie a colori, con soluzioni visive aperte al dubbio, alla richiesta di un surplus di attenzione ottenuta sospendendo l'ansiogeno imperativo di "raccontare tutto" a favore del più distaccato "far vedere qualcosa". Un passo indietro per farne due avanti. Mi riferisco in particolare a lavori come: Jeddah Diary dell'inglese Olivia Arthur; Beautiful Child della danese Laerke Posselt (1984); Oxfam dell'italiana Giada Connestari (1981); La giusta distanza dell'italiana Paola Codeluppi (1971) e infine, ma non per ultime, alle intense immagini della bielorussa Irina Yeutuhova (1963) realizzate nell'ambito della serie a due mani Amici di Serena per il progetto Tizzi.

Oggi poi che esiste la rete, il problema dell'accompagnare le fotografie con le parole è splendidamente superabile: vieni a Lodi anche solo a vedere, poi torni a casa e ciò che ti è rimasto davvero negli occhi puoi riempirlo di tutte le parole che vuoi surfando sul web, separando vivvadio il tempo della visione da quello della lettura che rimangono cose diverse e si fanno meglio in luoghi e tempi diversi. 

Forse un approccio visivo più ampio, e in grado di sostenere quindi la crescita culturale non solo di quanti fanno fotografie,ma soprattutto di chi queste fotografie dovrebbe sempre più e sempre meglio imparare a guardarle e vederle, potrebbe darlo l'iniziativa che parte proprio oggi al Festival. Sandro Iovine lancia difatti una sua innovativa creatura: la rivista web FPmag. In bocca al lupo all'amico Sandro quindi!

Infine alcune note ambientali: Lodi è la tipica città ideale italiana con un centro storico a misura di piedi umani nel quale la fede religiosa ha disseminato nei secoli chiese e chiostri che sono oggi luoghi perfetti per esporre immagini, in specie di umanità dolente. In tutto questo i ragazzi che organizzano il festival svolgono un lavoro di accoglienza e supporto davvero straordinario rendendo la visita un'esperienza estremamente piacevole.  Grazie ragazzi e... al prossimo anno.

Ora, ecco i miei soliti appunti presi con la fotocamera, QUI.



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